Nel contesto del dibattito – che si è molto “rudemente” aperto tra sovranità nazionale da un lato e integrazione europea dall’altro – ha finito per assumere un ruolo particolarmente significativo la recentissima sentenza della Corte costituzionale sull’adeguamento delle pensioni all’indice di inflazione.
Tra i provvedimenti che il governo Monti aveva assunto sul finire del novembre del 2011, anche alla luce delle richieste della Commissione europea relative alla insostenibilità del debito pubblico italiano, vi fu infatti proprio un provvedimento di cosiddetto “congelamento” per due anni delle pensioni rispetto all’indice di inflazione nazionale.
Chiamata a decidere proprio su questo punto, la Corte costituzionale ha infatti affermato la insufficienza delle “motivazioni” fornite dal governo per ottenere il suddetto “congelamento”.
Non si è trattato di un generico contrasto fra Corte costituzionale e legge nazionale perché tutta la storia della Corte costituzionale – sin dal dibattito alla Costituente proprio sul se, sul come e sul quanto del controllo di costituzionalità delle leggi – è stata proprio caratterizzata dal rapporto tra l’astratta sovranità popolare, rappresentata dal Parlamento in sede di legislazione, e il significato profondo del primato della Costituzione medesima sulle leggi.
Questo contrasto – che aveva sostanzialmente rappresentato il perno della decisione costituente sui poteri della Corte costituzionale – si è notevolmente acuito proprio in riferimento al rapporto tra integrazione europea e sovranità nazionale.
La questione di fondo, che si è posta sin dall’inizio del processo di integrazione europea, aveva infatti indotto la Corte costituzionale a ritenere prevalente la Costituzione italiana anche sugli atti internazionali costituitivi dell’Unione europea.
In tempi successivi essa aveva al contrario affermato il primato degli atti internazionali concernenti il processo di integrazione europea rispetto alla stessa Costituzione.
Ma oggi è venuto in risalto un nuovo profilo di rapporto tra l’integrazione europea e la Costituzione: può la Corte costituzionale disattendere una specifica interpretazione governativa nazionale relativa proprio al rapporto tra integrazione europea e politica economica nazionale, soprattutto alla luce del nuovo art. 81 della Costituzione conseguente al cosiddetto Fiscal compact?
Questa decisione della Corte costituzionale pone pertanto in evidenza una questione di grande rilievo: il rapporto tra sovranità nazionale (che comprende anche il controllo di costituzionalità interno) e integrazione europea.
Sembra di poter rilevare la totale assenza di una qualsivoglia riflessione da parte del governo proprio in riferimento alla sua collocazione che è, ad un tempo di soggetto consapevole dei vincoli che l’integrazione europea comporta per la stessa sovranità nazionale, all’altro di soggetto comunque sottoposto ai principi supremi che la Costituzione contiene e dei quali la Corte costituzionale – e non solo quella italiana – ha affermato di essere custode e garante.
Siamo dunque in presenza di una grande potenziale conseguenza che il processo di integrazione europea comporta in riferimento ai principi costituzionali che rappresentano a loro volta un limite di contenuto rispetto allo stesso processo.
Vi è da augurarsi che l’esame della riforma costituzionale che si svolgerà davanti al Senato nelle prossime settimane costituisca la sede per una valutazione fino ad ora totalmente assente.
La Corte costituzionale infatti non è soltanto un giudice in più, ma come in tanti sappiamo un soggetto molto particolare per la sua costituzione, per i suoi poteri, per il rapporto con le due Camere del Parlamento.
La fine del bicameralismo non riguarda soltanto l’attuazione del programma di governo ma anche questo aspetto essenziale della stessa forma di governo nazionale.