Se sono passati circa tre anni perché la Corte Costituzionale bocciasse il blocco imposto dal governo tecnico di Mario Monti alle pensioni superiori ai 1400 euro e rotti il mese, rigorosamente lordi, dovranno probabilmente passarne altrettanti per conoscere la sorte che i giudici del Palazzo della Consulta, prevedibilmente destinati dai già annunciati ricorsi ad occuparsi di nuovo del problema, riserveranno alle misure adottate dal governo, questa volta tutto politico, di Matteo Renzi.
Nel frattempo chissà cosa sarà accaduto alla Corte, con l’avvicendamento dei giudici via via scaduti. L’opinione prevalsa, peraltro di strettissima misura, sul blocco del governo Monti potrebbe risultare assai diversa sull’altro blocco delle pensioni targato Renzi: blocco, sì, perché pur sempre di questo si tratta, sia pure a livelli diversi.
Ma oltre agli umori e alle opinioni della Corte Costituzionale bisognerà vedere quali saranno gli umori e le condizioni del Paese, da cui i giudici della Consulta non riescono ad affrancarsi, anche se non vogliono sentirselo dire, convinti come sono di esserne lodevolmente e permanentemente estranei. Ma dimentichi del merito che essi stessi ogni tanto si attribuiscono, al pari di ciò che accade nei tribunali con l’applicazione e l’interpretazione delle leggi ordinarie, di accompagnare e assecondare l’evoluzione della società, specie sul terreno di quelli che vengono definiti diritti civili.
Fra tre anni, poi, potremmo essere in campagna elettorale per il rinnovo della Camera dei Deputati con il cosiddetto Italicum, ammesso che si riesca a passare da un Senato elettivo ad uno derivato dai Consigli regionali. Se la bocciatura del blocco delle pensioni del 2012 ha creato tanto sconquasso politico in questi giorni di campagna elettorale per il rinnovo di sette Consigli regionali e di poco più di duemila amministrazioni comunali, figuriamoci cosa potrà provocare in una campagna elettorale generalizzata una decisione sul nuovo blocco e sulla liquidazione quasi simbolica, e una tantum, degli arretrati a quattro milioni di pensionati che si considerano probabilmente più beffati che fortunati. A meno che la Corte non cederà alla tentazione opportunistica di rinviare tutto a dopo le elezioni.
Una percezione comunque si sarà nel frattempo consolidata, anche a causa dei vincoli economici e finanziari derivanti dalla partecipazione all’Unione Europea e alla gestione che si fa dei parametri comunitari concordati nell’ormai lontano 1992, tanto superati da essere stati definiti “stupidi” da un europeista convinto come Romano Prodi, già presidente della Commissione di Bruxelles. E’ la percezione, a dir poco inquietante, di non poter più coniugare il valore irrinunciabile dell’equità sociale, pur al netto delle torsioni demagogiche che lo snaturano, con quelli altrettanto irrinunciabili della legalità, intesa come conformità alla legge ordinaria, e della legittimità, intesa come conformità ai principi costituzionali. Principi tuttavia che gli stessi giudici della Consulta finiscono spesso per rendere elastici, come elastici sono diventati i poteri del capo dello Stato per l’uso che ne hanno fatto i vari presidenti della Repubblica, secondo la loro personalità o le circostanze, spesso drammatiche, nelle quali si sono trovati ad esercitarli.
La stessa bocciatura del blocco delle pensioni scattato nel 2012 è stata deliberata dai giudici della Consulta con motivazioni e riferimenti alla gradualità degli interventi fra le cui pieghe ha potuto maturare la decisione del governo di vanificare gran parte delle attese create con la clamorosa decisione della Corte. Una decisione che il giudice emerito, cioè ex, Sabino Cassese ha liquidato sul Corriere della Sera come una “scivolata”, indispettendo non pochi dei giudici più o meno felicemente in carica.