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Pensioni, ecco le trovate del Trio Lescano della previdenza (Boeri, Poletti e Taddei)

Maurizio Landini è tornato nel tinello di Giovanni Floris a La 7. Attendiamo ora notizie di Dudù.

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Con la sentenza n. 30 del 2015 (in tema di rivalutazione automatica delle pensioni) la Corte Costituzionale ha gravemente esorbitato dal suo ruolo istituzionale. Quando l’atto di un organo giurisdizionale (sia pure definito ‘’giudice delle leggi’’) costringe a spostare risorse tanto significative nell’ambito del bilancio dello Stato, entra a gamba tesa nella politica economica e sconvolge quella scala delle priorità che è compito del governo e del Parlamento indicare e perseguire. I diritti sociali sono sempre condizionati dalle disponibilità economiche di una comunità nazionale in una determinata fase storica. Il punto d’equilibrio tra diritti e risorse è una scelta politica, che può anche mutare nel tempo.

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Altre volte, in casi analoghi, la Consulta, pur facendo le sue valutazioni sulla legittimità di una norma di legge, invitava il legislatore a intervenire per correggere quella disposizione secondo le indicazioni della sentenza, precisando nel contempo che, ove non si fosse provveduto, la Corte – nuovamente investita della questione – ne avrebbe dichiarato l’illegittimità. Questa sarebbe stata la via corretta da seguire anche adesso.

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Dal Palazzo della Consulta sono filtrate delle indiscrezioni. Pare che la votazione si sia svolta con sei giudici favorevoli e sei contrari. E che abbia prevalso il voto doppio del Presidente. Se si fosse trattata di una riunione di condominio, con la pulizia delle scale all’ordine del giorno, l’amministratore, in circostanze analoghe, avrebbe suggerito di prendersi tutti una pausa di riflessione e rinviato l’argomento a una seduta successiva.

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Dopo la sentenza n. 30 Cost., il ‘’Trio Lescano’’ della previdenza italiana (nell’ordine Tito Boeri, Giuliano Poletti e Filippo Taddei) stanno pensando di trovare la copertura per un’operazione di aggiustamento attraverso il ricalcolo, in modo retroattivo e sulla base del sistema contributivo, delle pensioni retributive più elevate. Ma lo sanno questi ‘’apprendisti stregoni’’ che il modello contributivo presenta anche dei vantaggi rispetto a quello retributivo? Per esempio, contano tutti i versamenti effettuati e non c’è il tetto a 40 anni. Per cui chi ha lavorato più a lungo percepisce una pensione più elevata. E non è contemplato, come nel retributivo, un decalage nei rendimenti, al di sopra dei 45mila euro di retribuzione annua. Inoltre nel contributivo è previsto un tetto di retribuzione annua oltre il quale non si versano più contributi (e non c’è quindi corrispettività con la pensione). Nel retributivo il contribuente versa fino all’ultimo euro, anche se il rendimento decresce in modo inversamente proporzionale al reddito. Si terrà conto di queste differenze? O prevarrà il populismo accademico?

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