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Perché Renzi ora sballotta Berlusconi (e D’Alema) sul conflitto di interessi

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

La notizia del giorno è l’annuncio di una nuova legge sul conflitto d’interessi. Il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, intervistata dal Corriere della sera, ha tenuto a precisare che il governo di Matteo Renzi intende avviare la discussione in Parlamento su questa legge entro il mese di giugno.

In pratica, l’annuncio di una probabile estromissione di Silvio Berlusconi dal gioco politico, questa volta definitiva. Pur non facendo mai il nome del leader di Forza Italia, nonché patron dell’impero mediatico che fa perno sulle tv di Mediaset e sul gruppo Mondadori (libri e riviste), il ministro Boschi ha usato un tono meno soave del solito: «Se alcuni dei nostri ex leader o ex premier avessero messo la stessa tenacia che hanno messo negli ultimi tempi sui dettagli della nuova legge elettorale, per abolire il Porcellum o per avere finalmente una legge sul conflitto d’interessi, ci saremmo risparmiati molte fatiche. Ma non è mai troppo tardi. Vorrà dire che il conflitto d’interessi lo porteremo in Aula nelle prossime settimane».

In pratica, due bersagli centrati con un colpo solo. Il primo è quello dei soliti Bersani (ex leader) e D’Alema (ex premier), accusati di non avere mai affrontato seriamente il conflitto d’interessi. Il secondo è Berlusconi, che grazie al patto del Nazareno ha goduto nell’ultimo anno di un trattamento di favore da parte del governo. Oltre che all’ex Cavaliere e alle sue aziende, va detto che quel patto era utile anche a Renzi, che l’ha usato fino in fondo con due obiettivi: a) chiudere una volta per tutte la stagione dell’antiberlusconismo, che per vent’anni è stato l’unico collante della sinistra post-comunista e giustizialista; b) portare avanti le riforme costituzionali e della legge elettorale anche con i voti di Forza Italia, per poterle definire condivise anche dall’opposizione. In entrambi i casi, Renzi ha raggiunto gli scopi prefissi, nonostante Forza Italia si sia tirata indietro proprio nell’ultimo chilometro della nuova legge elettorale, che aveva votato tale e quale tre mesi prima.

Se questo cambio di linea sia stato o meno un errore politico, Berlusconi potrà valutarlo meglio nei prossimi mesi, quando sarà noto il testo della nuova legge sul conflitto d’interessi. Di certo, per Renzi la defezione di Forza Italia ha significato una rottura del patto del Nazareno, che ora lo autorizza a trattare Berlusconi come un qualsiasi tycoon prestato alla politica, e non più come un perseguitato dagli ex comunisti e dai giustizialisti di ogni risma, visto che era stato proprio lui a confezionargli un vestito nuovo, da padre della patria, come si conviene a chi concorre alla riforma della Costituzione.

Ma che cosa può mai prevedere una nuova legge sul conflitto d’interessi, firmata dal duo Renzi-Boschi? Nel tentativo di capirlo, ho consultato il mio personale bigino renziano («Ecco le mie 100 cento idee per l’Italia»), dove sono elencate in pillole tutte le riforme che Renzi aveva in mente da quando sfidò per la prima volta Bersani alle primarie del Pd. Questo bigino è tuttora la bussola e il programma vero del suo governo, attuato con una coerenza rara, che merita tanto di cappello. Giuste o sbagliate che siano, le riforme che aveva detto di voler fare, Renzi le sta facendo una dopo l’altra, anche se con tempi meno rapidi di quanto lui stesso pensasse.

Qualche esempio. Sta abolendo il Senato elettivo (punto numero uno, «Basta con il bicameralismo dei doppioni inutili»), ha appena cancellato il Porcellum (punto due), abolito le province (punto cinque), unificato i Comuni troppo piccoli (punto sei), varato il Jobs act (punto 35, «Superare il precariato attraverso il contratto unico a tutele crescenti»), e impostato altre riforme che marciano più lentamente (tra queste: pubblica amministrazione, abolizione del Cnel, municipalizzate, camere di commercio, giustizia civile, fisco, sanità, pensioni, editoria, e così via).

A prima vista, nel bigino manca un capitoletto sul conflitto d’interessi. Un buco che persiste anche nei libri che Renzi ha scritto prima di diventare premier. Forse per questo l’Huffington Post, testata del gruppo di Carlo De Benedetti, rivale storico di Berlusconi, subito dopo la rottura del patto del Nazareno suggerì al premier di fare proprie le proposte grilline del M5s, che vietano di scendere in politica ai proprietari dei mezzi di comunicazione. Ma Renzi, finora, si è mostrato diverso dai politici che si fanno dettare la linea. La sua, se la coerenza fa testo, è quella indicata al punto 16: «Cambiare la Rai per creare concorrenza sul mercato tv e rilanciare il Servizio pubblico». Una riforma che per forza di cose cambierà anche Mediaset. Ecco il testo. «Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali solo 8 hanno una valenza pubblica. Questi vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai1 e Rai2, devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private, e successivamente privatizzati».

In pratica, è l’annuncio della fine del duopolio radiotelevisivo Rai-Mediaset, con l’ingresso di nuovi privati nel settore e una concorrenza vera sul ricco mercato degli spot. Una mazzata annunciata per i conti del Biscione, forse peggiore di qualsiasi legge sul conflitto d’interessi.



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