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Regioni e banche popolari, come parlarne spassionatamente

Giovedì 14 maggio in una sala dello splendido Palazzo Ducale di Genova è stato presentato il libro di Vannino Chiti e Raffaella Della Bianca: “Buon governo un mito?” due saggetti sull’attualità o meno dell’”esempio” delle Regioni rosse pubblicato nella collana “Sì sì, no, no” dell’Editore Guerini e associati che insieme a Giulio Sapelli dirigo io (Lodovico Festa) che tra l’altro ho anche partecipato alla presentazione genovese.

Anzi, poiché la cancellazione di un aereo ha impedito al senatore Chiti di intervenire, è toccato a me sostenere le sue ragioni che hanno al centro questo nucleo assai pesante e razionale: con tutto quel che si può contestare loro, le cosiddette regioni rosse hanno svolto un ruolo decisivo nell’attuare principi costituzionali fondamentali (innanzi tutto lavoro, ambiente, studio, salute), ed è bene quindi per innovare partire da questa esperienza, non rinnegare una base che la storia nazionale ci ha messo a disposizione e, nel cercare la necessaria innovazione, non tentare vie (di questo tipo è quella proposta dalla sua “controparte” nel libretto) come le macroregioni che potrebbero essere un rischio per l’unità della nazione.

Insomma posizioni di solido buon senso che certamente costituiscono un buon contrapposto logico-storico (comunque la si pensi) all’”attacco” della Della Bianca concentrato sulla crisi del nostro Stato nazionale come crisi di una parte ordinamentale della Costituzione che regolava una nazione attraversata da una Guerra fredda ormai finita. Il vacillare di certi assetti istituzionali (nel caso in esame con sintomi come i tanti consigli regionali sciolti su azione della magistratura o la caduta impressionante del numero dei votanti anche in aree regine della partecipazione come l’Emilia), in questo senso, non esprime una tendenza passeggera determinata da fenomeni che presto si modificheranno ma manifesta una crisi radicale collegata alla crisi generale dello Stato (dalla non soluzione della governante europea e del ruolo di Roma in questa, fino agli eccessi di protagonismo della magistratura) che senza una visione sistemica che introduca una discontinuità profonda nelle istituzioni nazionali, non si rimedierà ma crescerà alimentando la disgregazione nazionale.

Due tesi molto contrapposte che però individuano anche alcuni terreni comuni: ci vuole un confronto costituente, non si deve tornare al centralismo “oggettivo” oggi tornato dominante, ampie forze e competenze debbono partecipare alla definizione delle soluzioni che non possono avvenire solo per strappi, slogan, tweet né essere contestate solo da denunce  affrettate e demagogiche.

La discussione a Palazzo Ducale è stata molto indebolita dalla sfortunata non presenza di Chiti (che comune si è impegnato a riprendere il confronto sul “libretto” dopo il 31 maggio) ma per fortuna era sorretta dalle posizioni “scritte” dove le divergenti ragioni erano ben evidenziate.

Come curatore della collana sono soddisfatto del risultato del tipo di “discussione pubblica” che siamo riusciti a lanciare e che verrà ripetuta da un altro saggetto a due mani contrapposte (Gianfranco Fabi e Franco Debenedetti) “Popolari addio?” che ha per tema la recente legge per superare le “grandi banche popolari”. Sarà in libreria il 21 maggio e sarà presentato a Roma proprio grazie alla collaborazione di Formiche mercoledì  20 maggio alle ore 18 presso il Centro studi americano in via Caetani 32 a Roma.

Credo che Sapelli e io con questa piccola collana siamo riusciti almeno in un risultato: quello di sottolineare come oggi vi sia necessità anche per le scelte urgenti di una vera discussione pubblica che per essere efficace prenda in considerazione seriamente i punti di vista contrapposti, sapendo che anche in quelli che si ritiene debbano essere superati, c’è un nucleo razionale da esaminare con onestà intellettuale.

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