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Tutte le sciocchezze sui black bloc e i fattacci di Milano

Teppistelli figli di papà, pochi violenti, un gruppetto di imbecilli: la retorica cola come melassa dai microfoni, dai giornali, dagli schermi televisivi. Quante volte abbiamo sentito le stesse definizioni, usate, sempre identiche, persino per gli ultras degli stadi? “Siamo stati asfaltati dai black bloc”, frignano gli antagonisti che cadono dal pero. Fa loro da megafono Norma Rangeri sul manifesto, separando molotov e “giuste lotte”. Quante volte abbiamo letto le stesse distinzioni dal 1968 in poi? Impossibile dirlo. Sono state recitate come un mantra negli ultimi quindici anni in cui abbiamo visto all’opera i picchiatori che nuotano nel movimento come i pesci nell’acqua, un brodo di coltura che nessuno ha la voglia morale, il coraggio intellettuale, la forza fisica di prosciugare. No global, no Tav, no Expo, ogni occasione è buona, ogni sigla è una etichetta di comodo.

La manifestazione di Milano, così, è finita esattamente come doveva finire. Lo ammettono chiaramente il giorno dopo sui social media i protagonisti degli scontri. “Intendiamo praticare il conflitto. La nostra rabbia non è istintiva, ma ragionata”. Perché non crederci, lo hanno detto e lo hanno fatto a Seattle, a Goeteborg, a Genova, a Roma, ovunque abbiano egemonizzato la piazza. Faremo ancora finta di  non aver capito? I black bloc saranno pure pochi, ma sono loro a dettare regole, tempi, modi e obiettivi. Inutile negare l’evidenza. Ai sociologi tocca analizzare il fenomeno, ai politici dare risposte se ci sono, alla polizia impedire che prendano il sopravvento, che occupino le strade e devastino le città. Ebbene, le forze di sicurezza e chi ha consegnato loro le regole d’ingaggio, hanno alzato bandiera bianca.

Lo ha confessato candidamente il capo della polizia: meglio le vetrine rotte che le teste rotte. E che dire dell’agente attaccato e linciato? Stavano per spaccare anche la sua testa. A questo cinico pragmatismo ha fatto eco il Corriere della Sera, scrivendo che poteva andare peggio. Cioè poteva scapparci il morto? E’ così che si garantisce l’ordine pubblico?

Ma le domande senza risposta sono davvero molte. Doveva essere autorizzata una manifestazione violenta? Che fosse tale era chiaro anche agli stolti. La polizia del resto si era preparata, fino al punto da accettare “le vetrine rotte”. Una volta autorizzata, perché concedere le zone centrali dove i bersagli sono persino esposti e la eco mediatica assicurata al più alto livello? Perché non imporre agli organizzatori un proprio servizio d’ordine? Perché non usare fin dai giorni precedenti gli infiltrati che sono, come si sa, numerosi, per efficaci azioni preventive? Sono state sequestrate armi proprie e improprie, non ci voleva molto a dedurne che cosa si stava preparando. Una delle scuse più inverosimili riguarda le espulsioni o i controlli alle frontiere. Non sarà mica colpa dell’Europa e di Schengen anche la battaglia di Milano?

Vedremo adesso che seguito ci sarà. L’impressione è che non accadrà nulla fino ai prossimi scontri. Non c’è stato il morto, aspettiamo che ci sia? Si apre un dibattito inutile su una nuova legge perché non si è in grado di far rispettare le leggi esistenti? Le spugne dei volenterosi hanno pulito le scritte sui muri. E un colpo di spugna cercherà di cancellare anche la sconfitta della polizia, del ministero dell’Interni, del governo proprio nel giorno in cui è stata inaugurata l’Esposizione universale con la quale dovrebbero ripartire le speranze dell’Italia, parola del presidente della Repubblica.

Stefano Cingolani


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