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Tutti i travagli del piano Cameron su immigrazione e referendum

Il primo ministro britannico David Cameron ha dato ieri il via al suo tour continentale per ottenere una serie di riforme dell’Unione europea prima del referendum britannico sulla membership a Bruxelles. Un viaggio che per la stampa internazionale è iniziato con molte incognite e sempre minori certezze.

IL TOUR EUROPEO

A sfavorire l’agenda del premier conservatore vi è prima di tutto il quadro politico. Ieri, in visita a Parigi (mentre oggi è a Berlino per incontrare la cancelliera Angela Merkel), Cameron ha spiegato al presidente francese François Hollande il desiderio del Regno Unito di avere più autonomia. Un incontro accompagnato da parole di comprensione da parte dell’inquilino dell’Eliseo che però, al di là delle dichiarazioni di facciata, lascia poco spazio a un sostegno reale.

IL DOCUMENTO SVELATO

Come dimostrerebbe un documento svelato nei giorni scorsi da Le Monde e che il britannico Guardian ha definito “un colpo” a Cameron, Francia e Germania chiudono sostanzialmente la porta alle speranze britanniche e indirettamente bocciano, le richieste di revisione dei trattati. Secondo Parigi e Berlino mantenere intatte le regole è non tanto un modo per punire Londra, quanto per evitare che altri Paesi possano in futuro avanzare le medesime richieste, scatenando il caos.

IL NODO DEL WELFARE

Tra le proposte più discusse del piano Cameron c’è infatti la possibilità di negare agli immigrati che arrivano nel Regno Unito i benefici del welfare britannico per almeno 4 anni. Si tratterebbe di una misura che viola il principio di uguaglianza tra i cittadini europei. È allo stesso tempo, però, una delle promesse che ha consentito ai Tories di rivincere le elezioni e che sarà decisiva, rileva il conservatore Telegraph, per l’esito del referendum sulla permanenza nell’Unione. Ma si

IL PUNTO NON COLTO

Ma si tratta di una richiesta legittima? Per l’editorialista del Wall Street Journal Stephen Fidler, cambiare il sistema di welfare per discriminare gli stranieri non è detto che riesca a ridurre l’immigrazione, che è la vera ragione per la quale Cameron intende perorare queste misure. “È vero – spiega Fidler – che il Regno Unito è stato sottoposto a afflussi inaspettatamente grandi di immigrati, molti lavoratori scarsamente qualificati provenienti dai Paesi più poveri dell’Unione”, soprattutto dell’Est. Comprensibile, visto che nel 2004 il reddito medio pro capite del Regno Unito era “di tre volte superiore a quello polacco e quattro volte quello della Romania“. Ma, prosegue l’editorialista, “è anche vero, secondo gli esperti, che la ripresa dell’economia britannica ha generato una forte richiesta di manodopera a basso costo” che rende facile l’incontro di domanda e offerta, al netto dei pur generosi benefici del welfare britannico.

I TIMORI DI BANCHE E INDUSTRIALI

Non è un caso che la cosiddetta Brexit – l’uscita del Regno Unito dall’Unione -, più volte agitata come spauracchio, vede nettamente contrari nel Paese sia gli industriali, cui verrebbero a mancare il mondo della finanza e delle banche della City. Entrambi hanno più volte detto di considerare di interesse nazionale l’adesione all’Ue. Un messaggio chiaro al governo britannico, ma anche a Berlaymont: l’economia del Regno Unito va bene – Pil in aumento e una disoccupazione sotto il 6%, nonostante il problema delle disuguaglianze – e non c’è nessuna ragione per farsi una guerra che farebbe male a tutti. Le prime avvisaglie ci sono già: nell’eventualità di un’uscita britannica dall’Ue, la tedesca Deutsche Bank – secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times – avrebbe già avviato le procedure preliminari per trasferire fuori dal Regno Unito una parte delle sue attività.



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