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Che combina Renzi?

Che sta succedendo a Matteo Renzi? La domanda sorge dopo qualche discrasia di troppo fra pensieri e azioni del presidente del Consiglio. Con un effetto di confusione al potere che non dovrebbe confortare neppure gli oppositori in servizio permanente effettivo.

Vogliamo parlare di Roma e di Ignazio Marino? Renzi non ha mai esagerato in apprezzamenti nei confronti del sindaco della capitale, ma fino a qualche giorno fa la posizione del Pd nazionale era più o meno questa: il sindaco non si tocca, è un baluardo della legalità, è lui che ha assecondato e non ostacolato inchieste giudiziarie su Mafia Capitale e sta contribuendo a bonificare l’amministrazione capitolina. Ma nelle ultime ore la linea di Renzi è cambiata: il sindaco lavori bene, con efficienza, faccia pulire le strade e riparare le buche se ci riesce, altrimenti vada via. Perché questo cambiamento? Due ipotesi. Se Marino resta, e resta con soddisfazione dei cittadini, Renzi non può essere contento visto che Marino è un corpo estraneo anche nello stesso Pd e gioca ormai più che altro per conto proprio. Se Marino resta e fallisce nell’Impresa, travolge il Pd e Renzi. Ergo, è la convinzione dei renziani, meglio che il chirurgo del Campidoglio tolga il disturbo; nel frattempo, e non a caso, due assessori filo-Renzi (Guido Improta e Silvia Scozzese) meditano le dimissioni. La strategia renziana? Si affidi tutto a un commissario, Franco Gabrielli, che magari potrà – se lo vorrà – essere il candidato sindaco anche del Pd.

E che dire della scuola? A Porta a Porta, da Bruno Vespa, Renzi aveva detto pochi giorni fa: ai primi di luglio faremo una conferenza nazionale sulla Buona Scuola per ascoltare tutti e poi decidere se e come modificare il nostro progetto. Ieri si apprende che il governo ha deciso di porre la fiducia al provvedimento in votazione in Parlamento. Con tanti saluti alla conferenza nazionale. Il contrordine è giunto ieri sera con la Enews di Renzi, in cui è scritto che nella conferenza dei primi di luglio saranno mostrati tutti i passi avanti “nell’edilizia scolastica”. Forse non basterà a convincere le masse di docenti e sindacalisti che hanno voltato le spalle al Pd nelle ultime elezioni amministrative solo perché il Pd renziano ha mostrato davvero un volto riformatore. Ma senza riuscire a sfondare, come pensava Renzi, al centro e fra gli ex berlusconiani.

L’acme della confusione è stato forse toccato sulla Cassa depositi e prestiti (80% del Tesoro), la società che controlla il 25,7% di Eni, il 100% di Sace, il 59% di Cdp Reti (che ha le quote di controllo di Snam e Terna), il 77% del Fondo strategico italiano (Fsi), il 100% di Fintecna e altro ancora.

Renzi, dopo giorni e giorni in cui i giornali (non smentiti) dicevano che il governo si apprestava a rottamare i vertici della Cassa con un anno di anticipo rispetto alla scadenza, apre per la prima volta la bocca sulla vicenda (nel silenzio assordante del Tesoro) e ovviamente a Porta a Porta dice: “Motivi tecnici” ci inducono “per forza” a cambiare vertici della Cdp. A distanza di giorni, e visto che venerdì scorso c’è stato un comunicato stampa della presidenza del Consiglio in cui non vi è traccia dei “motivi tecnici” che “per forza” obbligavano il governo a rottamare i vertici della Cassa, si può concludere serenamente che il premier aveva pronunciato una solenne sciocchezza.

Beninteso, il governo – magari con un ruolo meno coreografico del ministero dell’Economia che è formalmente azionista con l’80 per cento della Cassa – ha ovviamente il diritto di cambiare se lo ritiene i vertici di una società controllata dallo Stato. Ma siccome la Cdp, come ha scritto l’editorialista di MF, Angelo De Mattia, non è una Centrale del Latte, almeno qualche spiegazione su perché si vogliono cambiare il presidente e l’amministratore delegato della Cassa potrebbe fornirli, spiegando al mercato, agli investitori e ai risparmiatori che cosa la Cassa dovrebbe fare di nuovo, di più o di meno rispetto al passato. Il risultato di queste ore, con il presidente Franco Bassanini che ha deciso di assecondare i voleri del governo dimettendosi per lasciare il posto a Claudio Costamagna ssumendo il ruolo di consigliere speciale a Palazzo Chigi, mentre il governo non ha ancora trovato il modo di silurare l’ad Giovanni Gorno Tempini, è che un giornale solitamente compassato come il Sole 24 Ore è arrivato a scrivere questo: “Fretta, errori e sottovalutazioni giuridiche hanno inficiato la credibilità e il successo di un piano di rilancio dell’attività di Cdp”.

Che sta combinando Renzi?

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