“Inevitabile”. Questa è la parola spesso utilizzata per descrivere Hillary Clinton e la sua nomina democratica per il 2016. Ma qualcuno capace di affrontarla c’è? Niente è impossibile, ma le probabilità sembrano essere poche. Il suo avversario più minaccioso interno al partito potrebbe rivelarsi un uomo che non è nemmeno tecnicamente un democratico (per lo meno non ancora): si tratta del senatore indipendente Bernie Sanders del Vermont, che si autodefinisce “un socialista democratico” ed è considerato una possibile spina nel fianco della Clinton.
Alcuni attivisti progressisti stanno ancora sperando che la senatrice Elizabeth Warren entri in gara. Tuttavia, nonostante abbia riferito di essersi incontrata a fine aprile con alcuni membri del “Progetto Warren”, sembra ancora improbabile che possa aggiungersi alla corsa. L’idea della candidatura del sindaco di New York, Bill de Blasio, è ancora più difficile da concepire. Ha iniziato il suo mandato da meno di un anno e mezzo e la sua figura è già abbastanza controversa; secondo i sondaggi Quinnipiac il suo grado di approvazione si ferma al 44%.
Sanders è così in grado di riempire il vuoto a sinistra della Clinton, riuscendo magari ad attirare i voti di coloro che, a causa dei legami della Clinton con Wall Street e della sua linea dura in politica estera, sono più scettici. Grazie alle sue posizioni e alla sua personalità, Sanders potrebbe essere un candidato molto attraente per i liberali in cerca di qualcuno che faccia pressione sulla Clinton in relazione a temi come la disparità di reddito, il libero scambio e il voto dato al Senato a favore dell’autorizzazione alla guerra in Iraq (anche se si tratta di un voto che ha ormai più di dieci anni).
Su tali questioni Sanders è stato il terzo senatore più liberale dell’ultimo Congresso, dietro solo alla Warren e al senatore Tammy Baldwin. Con il discorso di annuncio della candidatura presidenziale, Sanders ha messo in evidenza il suo obiettivo di creare un’economia in grado di favorire tutte le persone, piuttosto che un piccolo numero di miliardari, e ha criticato il ruolo del denaro in politica, in particolare la campagna per il finanziamento “Citizens united”. Mentre era membro della Camera nel 2002, Sanders votò contro la guerra in Iraq ed è uno dei principali avversari della Transpacific partnership (Tpp) e di altri accordi commerciali di libero scambio.
Sanders si è anche espresso in relazione al progetto Keystone XL Pipeline, una questione sulla quale la Clinton non ha ancora assunto una posizione. Si tratta di atteggiamenti e idee che gli permetteranno di ottenere il sostegno di progressisti e lavoratori. Ma oltre alle sue opinioni politiche, sono le caratteristiche personali a rendere Sanders una potente opzione di “protesta” nelle mani dei liberali da utilizzare in occasione delle primarie democratiche. Sanders ha le idee molto chiare e sa esattamente quello che vuole. Inoltre, è ben cosciente del fatto che probabilmente non sarà il candidato presidenziale dei democratici.
Non avere nulla da perdere fa sì che egli abbia tutte le carte in regola per attaccare duramente la Clinton su varie posizioni. Guardando alle campagne presidenziali del passato, una comparazione con Sanders si può fare ricordando Eugene McCarthy, senatore democratico del Minnesota, candidato alle presidenziali per ben tre volte. McCarthy partecipò alle primarie del 1968 nel New Hampshire contro il presidente Lyndon Johnson e sbalordì tutti quando si trovò a un passo dallo sconfiggere il presidente in carica. Questo spinse il senatore Robert F. Kennedy ad annunciare la propria candidatura, favorendo la decisione di Johnson di non correre di nuovo per la presidenza.
Come Sanders, anche McCarthy aveva una vena indipendente. In un certo senso, la Clinton potrebbe anche vedere in modo positivo la figura di Sanders in quanto suo principale avversario. È cosciente del fatto che prima o poi qualcuno debba emergere per rendere la battaglia delle primarie democratiche una competizione degna dell’interesse dei media. Inoltre, sono gli stessi attivisti del partito che richiedono una maggiore concorrenza nella corsa alle presidenziali. Considerando questo, perché non avere come avversario uno come Sanders, un liberale con poche risorse economiche da poter utilizzare per costituire una seria minaccia? La Clinton sa anche che avrà bisogno della base per ottenere dei buoni risultati a novembre del prossimo anno e questo l’ha già portata a spostarsi più a sinistra su alcune questioni, come nel caso dell’immigrazione.
Nonostante qualcuno come l’ex governatore Martin O’Malley possa rappresentare una sfida più seria alla candidatura della Clinton, Sanders è pur sempre un senatore proveniente da uno degli Stati più piccoli degli Usa, è sconosciuto alla maggior parte degli americani e non può essere in grado di sconfiggere la Clinton, salvo circostanze impreviste e imprevedibili. In relazione a O’Malley, il suo titolo è stato messo sotto la luce dei riflettori di recente a causa degli avvenimenti di Baltimora, dove ha ricoperto la carica di sindaco prima di diventare governatore del Maryland.
Durante il suo mandato da primo cittadino, O’Malley aveva implementato politiche di giustizia penale – come ad esempio la tolleranza zero della polizia – che hanno attirato la critica di molti venendo a essere considerate la causa dei problemi a lungo termine che sono alla base delle rivolte a Charm City. Per rimanere un candidato credibile, O’Malley deve essere in grado di difendere la sua figura di sindaco e governatore, ma i disordini di Baltimora potrebbero essere usati contro di lui. Per il momento è comunque dietro Sanders nella corsa alle primarie democratiche.
Larry J. Sabato, politologo e direttore del Center for politics presso l’Università della Virginia
Articolo tratto dal numero 104 (Giugno 2015) della rivista Formiche