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Ecco come Salvini ha superato Berlusconi

“Gli italiani hanno deciso che il programma alternativo a Renzi e alla sinistra è quello della Lega.” Lo ha detto Matteo Salvini, nel corso della prima conferenza stampa tenuta dopo le elezioni regionali del 31 maggio. La frase è indubbiamente enfatica. Però non si può negare che, entusiasmo del momento a parte, questa enfasi poggi su una notizia effettiva. All’alba del 1° giugno 2015, il primo partito, all’interno del variegato fronte del centro-destra, è la Lega.

Per essere precisi, la Lega ottiene più consensi di Forza Italia non solo in Veneto, come era facile prevedere, ma anche in Liguria (20,02% contro 12,70%), nonostante che qui il candidato presidente fosse Giovanni Toti, il delfino di Berlusconi. Anche se con percentuali diverse, i “verdi” di Salvini prevalgono poi sugli “azzurri” anche nelle tre regioni dell’Italia centrale chiamate al voto: Toscana, Umbria e Marche.

Al Sud è il contrario. Forza Italia surclassa la Lega in Puglia, mentre in Campania non c’è partita, perché qui Salvini non ha presentato nessuna lista. Va quindi detto che, nel totale delle 7 regioni, Forza Italia ha avuto più voti assoluti della Lega (circa 950mila contro 800mila). Ma, nell’insieme delle 6 regioni in cui il confronto è fattibile, alla Lega viene attribuito il 13,08% dei consensi, contro l’11,30 andato a Forza Italia. A ciò si aggiunga che, come è stato notato da più parti, la Lega è l’unico partito che, in questa tornata di elezioni regionali, sia cresciuto, rispetto alle consultazioni politiche del 2013 e a quelle europee del 2014, sia in voti assoluti che in percentuale.

Ora l’aspetto più singolare di questa affermazione della Lega, all’interno del centro-destra, sta nel fatto che essa non si è prodotta a seguito di un esplicito scontro politico, ma quasi come un fatto ineluttabile, dovuto al progressivo disfacimento del partito berlusconiano e all’esplosione della vasta area che attorno al carisma del Cavaliere si era riunita.

Una parte di quest’area, come è noto, è entrata a far parte della maggioranza guidata dal Partito democratico di Matteo Renzi. Un’altra parte, invece, è rimasta all’opposizione. Ed è qui, dove si è assistito fra l’altro al mancato decollo del soggetto nato per raccogliere l’eredità dell’area post-finiana, i Fratelli d’Italia, che Salvini ha colto l’occasione del declinare del carisma berlusconiano per superare il Cavaliere, senza peraltro entrare in conflitto aperto con lui. In Liguria, ad esempio, la Lega ha saputo rinunciare al proprio candidato, per dare invece un contributo decisivo all’inopinata elezione di Giovanni Toti a Presidente della Regione. Analogamente, in Puglia la Lega è rimasta sotto le bandiere della candidata berlusconiana, Adriana Poli Bortone, mentre i Fratelli d’Italia voltavano le spalle a Berlusconi e si schieravano con Francesco Schittulli, il candidato supportato da Raffaele Fitto, l’arcioppositore di Berlusconi.

Salvini è quindi riuscito ad affermarsi come un’altra opzione rispetto a Berlusconi, all’interno dell’area di centro-destra, nel momento stesso in cui si comportava come il suo più fedele alleato. Come ha fatto a raggiungere questo risultato?

Come abbiamo a suo tempo raccontato su Formiche.net, sabato 28 febbraio Salvini ha tenuto una manifestazione nazionale a Roma, in piazza del Popolo. Obiettivo dichiarato: mandare Renzi a casa. Obiettivo reale: proporre, in vista delle elezioni regionali, un’immagine di sé come oppositore frontale di Matteo Renzi. E, soprattutto, come un oppositore che non combatte Renzi nella pianura Padana, per tenere lontano dal Nord il capo di Roma ladrona, ma lo combatte a Roma, nella Capitale della Repubblica, ovvero in una dimensione nazionale. E lo fa in nome di un programma politico centrato sulla proposta, certo non nuova né originale, di un taglio radicale del carico fiscale che grava sugli italiani. Una proposta, peraltro, rimodulata e resa più attuale in termini di flat tax al 15%.

Ora il fisco, o meglio l’avversione al fisco, ha da sempre costituito il terreno su cui è stata costruita l’unità tra Lega Nord e Forza Italia, tra la rivolta fiscale dei valligiani bossiani e il “meno tasse per tutti” caro a Berlusconi. Non è quindi un tema divisivo all’interno del centrodestra, o di ciò che ne rimane. E lo stesso vale per l’uso di una retorica avversa se non all’Unione europea in quanto tale, almeno all’Unione europea a trazione tedesca. La novità di piazza del Popolo è consistita nel fatto che, ricorrendo a questi temi, Salvini abbia tracciato di sé un’immagine non più nordista, né tanto meno padanista, ma da aspirante leader dell’opposizione di destra al Governo Renzi. Ovvero, che abbia cancellato qualsiasi ricordo di una tradizionale divisione geografica del lavoro politico, in base alla quale la Lega si occupava del Nord, e Forza Italia del resto del Paese.

Dopo quell’apertura anticipata di campagna elettorale, senza alcun bisogno di polemizzare con la rediviva Forza Italia – partito amico e, anzi, alleato – a Salvini, in un certo senso, è bastato rimanere in attesa di intercettare i voti di quegli elettori che, disamoratisi per vari motivi di Silvio Berlusconi, andavano comunque in cerca di una destra nettamente alternativa al Pd.

Ora va detto che, durante i tre mesi successivi, le cose sono poi degenerate, rispetto alle citazioni letterarie sciorinate nella giornata romana. Nelle sue puntate a Sud del Po, o meglio a Sud del Rubicone, Salvini ha finito per agitare prevalentemente un terzo tema, oltre al fisco e all’Unione europea: quello dell’immigrazione cosiddetta clandestina, che poi clandestina non è, malamente confuso con quello della presenza in Italia di una esigua minoranza composta da Rom e Sinti. Lasciando che le rumorose accoglienze riservate allo stesso Salvini da gruppi di autonomi antirazzisti facessero da cassa di risonanza per la sua campagna elettorale.

Tornando all’affermazione iniziale, è dubbio che gli elettori che hanno votato per le liste denominate “Noi con Salvini” abbiano fatto una precisa scelta programmatica. Più che altro, hanno espresso un malumore, avverso a tutto ciò che, in questi anni di perdurante crisi economica, è venuto o viene da fuori. E cioè non da Roma ladrona, appunto, ma da Bruxelles o dal Nord Africa. E che siano gli eurocrati con le loro regole o gli immigrati con la loro miseria, poco importa.

Resta il fatto che, fin qui, Salvini ha conseguito il suo duplice obiettivo: primo, affermarsi come una forza politica di dimensione nazionale. Secondo, affermarsi come la prima forza politica della destra italiana. Ma questa duplice vittoria apre adesso davanti a lui un nuovo scenario problematico. Al comizio di piazza del Popolo, Salvini esibì Zaia come esempio concreto della capacità amministrativa della Lega. Ora amministrare una Regione anche grande come il Veneto è una cosa, governare la seconda potenza manifatturiera d’Europa è un’altra. E sarà difficile convincere gli italiani che la nuova Lega è davvero una forza di governo, come pure lo è stata a suo modo quella di Bossi, se il suo giovane leader continua a proclamare che la cosa più urgente da fare è radere al suolo i campi Rom.

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