I giornali di ieri riportavano, con più o meno enfasi, la notizia dell’accordo sul clima, raggiunto in seno al G7. USA e Europa avrebbero superato le resistenze di Canada e Giappone, traguardando un impegno collettivo alla riduzione delle emissioni del 40/70% entro il 2050, rispetto ai livelli 2010.
È quindi tempo di abbracciare un seppur cauto ottimismo? Forse, ma la faccenda è come al solito più complessa.
Partiamo dal balletto delle cifre. Per centrare l’obiettivo annunciato, c’è già chi rileva come bisognerebbe tagliare le emissioni dell’80% rispetto ai livelli del 1990: un intervento quindi più severo, su cui siamo già in ritardo.
Ma la questione davvero spinosa si nasconde tra le righe del leit motiv di questo G7: decarbonizzare, chiudere l’era delle energie da combustibili fossili.
Anche Alice nel Paese delle Meraviglie inizierebbe, a questo punto, a covare il sospetto che non di ambiente si sta parlando. Si sta parlando di equilibri geopolitici e di rapporti di forza tra stati rispetto all’utilizzo delle risorse energetiche globali.
La decarbonizzazione, certo, è possibile. A patto che Obama – la cui presidenza non brilla per incisività – riesca ad aggirare un Congresso a maggioranza repubblicana e poco propenso a recepire misure contrarie all’industria petrolifera. Anche perché è alla rivoluzione shale che, in larga parte, si deve la risalita dell’economia americana dal vortice della crisi economica.
E poi c’è la Russia. Un gigante che resta ancorato al petrolio, mentre perfino la Cina e i Paesi del Golfo dirottano investimenti massicci sulle fonti alternative e mentre il prezzo stesso del greggio si mantiene a livelli molto bassi. Non a caso, in questo G7 si è discusso molto di Russia: i leader dei paesi aderenti hanno prospettato ulteriori sanzioni economiche, se continueranno le violazioni al cessate il fuoco in Ucraina.
Accerchiato sul fronte energetico, economico e politico, Putin affila le armi, raddoppiando la spesa militare rispetto al 2010 e preparando una offensiva diplomatica, cha parte oggi da Milano. Anche con Renzi, l’Italia resta infatti un interlocutore privilegiato di Mosca: proprio al G7 il nostro premier ha parlato della necessità di tenere aperto il dialogo con la Russia.