Dopo il no di ieri dell’Eurogruppo a una nuova proroga di aiuti ad Atene, il premier ellenico Alexis Tsipras ha annunciato che “il popolo sarà chiamato” domenica 5 luglio a votare un referendum sulla proposta dei creditori.
Di chi sono le responsabilità di questo braccio di ferro? Quali le conseguenze sul progetto europeo? E quali scenari si aprono adesso?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con l’economista Gustavo Piga, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Tor Vergata a Roma.
Professore, quali sono le colpe di Berlino e del Fondo Monetario Internazionale nella crisi greca?
Diverse. In primo luogo l’idea di imporre riforme identiche a tutti i Paesi, indipendentemente dalla loro cultura e dalle loro caratteristiche di partenza. Poi nel 2010 c’è stato il clamoroso errore di non costringere la Grecia a risolvere faccia a faccia, all’interno, il problema con i suoi creditori privati. E nel 2012 si è preferito invece estendere la questione scaricandola sul pubblico, ma imponendo ad Atene condizioni che mai avrebbe potuto sostenere. Se a questo si aggiunge che la Lagarde (che si sta giocando un rinnovo del mandato) subisce la pressione dei Paesi emergenti che si lamentano che alla Grecia venga prestato denaro senza troppe premure, tutto si chiude. Forse è utile ricordare che anche gli Usa hanno vissuto svariati casi simili a quello greco, ad esempio quello del Tennessee nel 1870. Allora il presidente degli Usa si rifiutò di intervenire e disse allo Stato di risolvere da sé la questione con i suoi creditori (i mercati di New York). Il Tennessee scelse democraticamente il default, ma nessuno mai si sognò di chiedere la sua uscita dagli Stati Uniti, perché era ben chiaro a tutti quale fosse il progetto di lungo periodo e l’importanza che alcuni segnali, come la perdita di un pezzo di Unione, potevano avere sulla coesione dei restanti pezzi. Qui sta accadendo esattamente il contrario.
Da cosa dipende questo atteggiamento?
Le istituzioni dell’Unione non sono forti, quindi il dolore greco non arriva a Strasburgo. Gli eletti polacchi, per fare un esempio, non devono rendere conto all’elettorato greco. Questo fa sì che ogni Paese agisca secondo logiche personalistiche, che non tengono più conto dell’idea per cui è nata l’Ue, ovvero che l’unione fa la forza. Effetto non secondario di ciò: come pensiamo di sederci allo stesso tavolo con Usa e Cina, se procediamo in ordine sparso?
Cosa dovrebbe preoccupare maggiormente?
Siamo di fronte a un momento storico di crisi, di profondo cambiamento verso l’ignoto. Bisogna essere ben consci di quello che sta accadendo. L’Europa rischia di dare vita per l’ennesima volta a una fase buia della sua storia, e proprio di nuovo partendo da una crisi finanziaria. L’Ue nacque soprattutto per sanare una volta per tutti il rapporto tra debitori e creditori nel Vecchio Continente, rapporto che aveva di fatto portato all’ascesa di Hitler ed alla seconda guerra mondiale a causa del trattamento ricevuto dalla Germania dopo la Prima Guerra Mondiale. Il senso del progetto europeo era legarsi per stare insieme, e questo l’euro lo rendeva altamente possibile, e discutere allo stesso tavolo. Oggi si sancisce il fallimento di questa idea. Si torna ad esaltare al massimo la singolarità delle culture nazionali, dimenticandoci di progredire lentamente ma inesorabilmente verso l’unione culturale, ma si assiste contemporaneamente a un calo impressionante della qualità della leadership in Europa. Manca la visione che invece avevano i Padri fondatori dell’Ue, disposti a sacrificare ognuno qualcosa per un progetto più ampio.
Alexis Tsipras non ha alcuna responsabilità in questa situazione? E che ne pensa del referendum annunciato?
Qualcuno dice che Tsipras abbia fatto peggiorare lo stato dell’economia greca in un momento in cui andava già male. Se ciò è vero non lo sapremo mai. Quel che sappiamo per certo è che Tsipras ha ricevuto l’ordine di applicare l’ennesima ricetta lacrime e sangue di austerità che non solo ha prodotto nessun risultato negli scorsi 4 anni, ma che sarebbe andata anche contro il mandato dei suoi elettori. Detto ciò, il referendum è l’unica arma di breve periodo nelle sue mani per non far cadere tutto, compreso il suo governo.
Quali sono gli scenari della consultazione?
Se vincerà il sì a favore dei creditori prenderemo atto di trovarci di fronte a una nuova Grecia, che verrà probabilmente travolta dall’austerità. Se invece vincerà il no, senza l’aiuto della Bce, che non può comunque far scelte diverse rispetto a quanto stabilito dalla maggioranza dei Paesi, è difficile che la Grecia possa fare default senza lasciare l’euro.
Che cosa può succedere ora?
Può accadere di tutto, l’Ue non è mai stata così debole. Per pochi spiccioli si affonda un progetto di tale importanza come quello europeo. Bisognerebbe guardare all’Europa in termini non solo ragionieristici, ma anche politici. Di certo, da ieri credo che un’uscita dalla Grecia dall’euro sia più facile. Uno scenario a cui dovrebbe guardare con estrema preoccupazione anche il nostro Paese.
L’Italia è a rischio contagio?
Sbaglia il nostro Ministro dell’Economia a limitarsi ad affermare che non vi sarà contagio ed a non essersi schierato con la Grecia per paura del contagio. Non bisogna dimenticare che c’è sempre un Sud, perché l’Europa, come ricordava Jean Monnet, è una somma di diversità. Fatta fuori la Grecia, di chi sarà poi il turno?