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Attentati Isis, ecco analogie e differenze. L’analisi di Pelanda

Tre attentati oggi in Francia, Kuwait e Tunisia, tre dinamiche differenti, un solo punto in comune: il vessillo nero dell’Isis.

Quali le conseguenze di questa escalation di violenza? Quali i suoi significati? E che strategia adottare per impedire che il terrore si espanda ancor più in Occidente?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con è Carlo Pelanda (nella foto) coordinatore del dottorato di ricerca in geopolitica e geopolitica economica dell’Università Guglielmo Marconi di Roma ed editorialista di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza.

Professore, oggi l’Isis ha superato un altro limite, effettuando la prima decapitazione in Europa.

La prima in Europa, ma non la prima di un europeo. Forse non l’ultima, purtroppo. Il gesto ha ovviamente una forte carica emotiva.

Che cosa significa? 

Prima di tutto conferma la straordinaria capacità di fare franchising da parte dell’Isis, probabilmente in crescita. Per questo non comprendo chi in queste ore, con un atteggiamento consueto, mette alla gogna i servizi segreti, responsabili di non aver prevenuto gli attacchi. La verità è che avrebbero bisogno di più e migliori strumenti per raccogliere informazioni sui potenziali attentatori che ci circondano.

Quali sono le analogie e le differenze fra i tre attentati avvenuti oggi in Francia, Kuwait e Tunisia?

Sono tutti e tre riconducibili alla capacità di penetrazione del sedicente Califfato, ma hanno tutti caratteristiche proprie. Quello in Francia ricalca gli schemi classici degli attentati in Occidente. Quello in Kuwait, in una moschea sciita, ha lo scopo di rinforzare il fanatismo degli estremisti sunniti. Mentre infine, quello in Tunisia, ha un chiaro intento destabilizzatore. E, a mio parere, è quello che dovrebbe preoccupare di più.

Cosa glielo fa credere?

Dei tre è lo Stato più facilmente destabilizzabile. Ha una democrazia ancora fragile e dipende per larga parte dal turismo. Ci vuole poco a metterlo in ginocchio. Questo non è il primo colpo che viene inferto alla Tunisia. Il prossimo potrebbe essere fatale.

Perché la Tunisia è un obiettivo?

Oltre alla sua fragilità, è uno dei Paesi più secolarizzati della regione. Farlo crollare avrebbe un significato simbolico e politico, oltre che un effetto concreto sugli equilibri dell’area, già messa a dura prova. E purtroppo l’Isis ci riuscirà, se l’Occidente non cambia approccio.

Che ambizioni celano i drappi neri?

Pare ormai chiaro che chi muove i fili non sono né Al Baghdadi, né gli ex ufficiali dell’esercito iracheno di Saddam Hussein, semplici burattini. Dietro l’Isis c’è una strategia più raffinata, perciò bisogna agire di conseguenza.

Come fronteggiare l’onda jihadista dello Stato Islamico?

Mentre Al Qaeda mirava a portare a segno pochi e precisi attacchi volti a minare l’alleanza tra Usa ed Europa, le mosse dello Stato Islamico sono ancora poco chiare. Quel che è certo, però, è lo si può sconfiggere solo usando il suo stesso mix di guerra simmetrica – con armi convenzionali, con Turchia e sauditi se ci stanno, altrimenti coi curdi dandogli poi lo Stato a cui ambiscono – e asimmetrica – con infiltrati che raccolgono informazioni nelle loro stesse fila e, al momento opportuno, reagiscono con le loro stesse armi. Una strategia che nei nostri Paesi viene forse considerata immorale, ma che è forse l’ultima chance per far allontanare il terrore dalle nostre case.


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