Scriveva Indro Montanelli: “Un giorno dissi al cardinal Martini: ma non si può scomunicare la televisione, non si possono mandare al rogo un po’ di quelli che la fanno?”.
Ieri sera, spegnendo inorridito la tv, il pensiero mi è corso a questa frase dell’antico Maestro e primo direttore. Citazione che sarebbe attribuibile a lui anche senza dirlo, perfino priva di firma, in quanto sintesi da manuale del suo conservatorismo anarchico, così libero e deliziosamente eretico (magistrale il rispettoso accostamento tra cardinale e rogo!), arricchito perdipiù da un’insuperabile capacità di graffiare: volendo far male, ma con classe ed eleganza.
Detto questo, ritorno a ieri sera, con la doverosa premessa di essere un telespettatore schifiltoso, dai consumi omeopatici: una nostalgica replica di Miami Vice al mattino, che sa tanto di autodenuncia anagrafica, e un po’ di news. Tutto qui. Per il resto pilucco, sorseggio, becchetto qua e là con moderazione: un buon film quando c’è e, se possibile, qualcosa d’intelligente, risorsa ormai più ardua da trovare di un filone d’oro sotto Corso Buenos Aires a Milano. Ignoro i talk show, aborro i talent e nutro sentimenti esplosivi – al plastico – nei confronti dei finti tribunali catodici o dei salottini pomeridiani. Rileggo piuttosto Steinbeck, riascolto Coltrane e trovo ambrato rifugio in un Marsala stravecchio.
Già, il Marsala, ecco qual era l’aggancio! Perché ieri sera il filone aureo era affiorato, su Rai5, brillando con l’ultima puntata de I Buogustai dell’Arte – Sicilia Barocca, viaggio nella più grande isola italiana in compagnia di uno storico dell’arte inglese e di uno chef stellato nostrano. Il risultato? Una straordinaria carrellata di gusti, visioni e sensazioni: dal sentore del finocchietto selvatico alle mensole scolpite che reggono le balconate di Noto, dai colori della Vucciria alla fede corale delle processioni pasquali.
Ma le cose belle prima o poi finiscono, e sulla parola “Fine” ho fatto zapping alla ricerca di ultime news prima di chiudere la giornata. E invece… Invece sono rimasto bloccato sulla 7, colpevolmente attratto da un’orrida visione. Succede, con le orride visioni. Sullo schermo, in un programma che non potrebbe chiamarsi altro che “la Gabbia”, politici e giornalisti si scannavano in una sconvolgente cacofonia di suoni e di visioni: urla isteriche e occhi spiritati, insulti e gote arrossate, “vaffa” in libertà e carotidi sul punto di esplodere in un crescendo di intollerabile volgarità e di cattivo gusto.
Forse fa audience, il cattivo gusto.
Avevo ancora negli occhi la dolce serenità dei mosaici della Villa del Casale, a Piazza Armerina, e me l’ero vista violentare e dissacrare così, da quello spettacolo indegno. Ero passato in un nanosecondo dalla grandezza dell’Impero Romano alla suburra. E allora, senza esitazioni, ho spento, lasciando ripiombare la casa nel suo confortante silenzio borghese. Ho fissato quello schermo privo di immagini e mi sono ritrovato a fare un pensiero ricorrente: che la televisione, in fondo, è di gran lunga meglio spenta. Anche perché, come dicono quelli che sanno le cose della moda, il nero va bene su tutto.