Cresce il caos in Macedonia dopo gli scontri tra polizia e terroristi del 9 maggio scorso che hanno portato a un terremoto interno al governo. Da allora migliaia di persone sono scese in piazza contro il premier conservatore Nikola Gruevski.
Ma mentre l’Ue prova a mediare, sullo sfondo si intravedono le tante crisi irrisolte nella regione, riaccese da un nuovo protagonismo geopolitico di Mosca, che invece accusa l’Occidente di fomentare la rivolta.
Ecco l’opinione dello storico ed economista Giulio Sapelli, dal 1996 al 2002 nel cda di Eni, dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore del pamphlet “Dove va il mondo” (edizione Guerini).
Professor Sapelli, la crisi in Macedonia rischia davvero di minare la stabilità nei Balcani?
La probabilità c’è ed è alta.
Che cosa accade?
Si assiste ad una crescita dell’influenza russa nella regione, che torna a spaziare dal Mediterraneo all’Ucraina.
Il governo guidato da Nikola Gruevski, per molti osservatori, oltre ad essere troppo filorusso avrebbe preso la piega di un regime autoritario.
Ciò testimonia che la crisi si è ormai spostata a un livello superiore. Ciò è dovuto a molti fattori. Il conflitto in Macedonia nel 2001, quando l’Esercito di Liberazione Nazionale albanese attaccò le forze di sicurezza del Paese, era in parte un’anticipazione di quel che sarebbe accaduto. Ci sono ancora troppe questioni irrisolte, che rischiano di riesplodere.
Quali sono le questioni ancora irrisolte cui fa riferimento?
Da una parte c’è l’ostilità greca, mai sopita, nei confronti della Macedonia. Dall’altro c’è appunto la questione tutta interna a Skopje di una minoranza albanese che non ha mai accettato di essere considerata tale. Questa situazione potrebbe avere importanti riverberi in Kosovo. Sullo sfondo ci sono poi grandi questioni economiche, ma anch’esse dettate da ragioni geopolitiche, come quelle del cosiddetto corridoio paneuropeo VIII.
Cioè?
Il corridoio VIII è uno dei dieci “corridoi paneuropei” progettati per favorire il trasporto di persone e merci nell’Europa centrale e orientale. Nei piani unisce l’Italia ad Albania, Macedonia e Bulgaria. Si tratta, per altri versi, di un modo per ridurre la dipendenza europea dalle infrastrutture energetiche russe, attraverso l’integrazione di quei Paesi nel tessuto economico e sociale dell’Ue. Basti ricordare che tanto il South Stream (prima che venisse archiviato, ndr), quanto il Turkish Stream passano dal territorio di Skopje.
Qualche giorno fa il segretario al Tesoro americano, Jacob Lew, ha denunciato i rischi di un tracrollo greco. Crede dunque che si riferisse anche a un piano geopolitico, oltre che economico?
Senza dubbio. Le questioni sono terribilmente intrecciate. E gli ultimi fatti lo dimostrano. Ad esempio il terremoto dimissioni e la rimozione del capo dei servizi segreti, Sasho Mijalkov, apparentemente legato – secondo l’opposizione socialdemocratica – ad una banda (quella protagonista degli scontri a Kumanovo, ndr) che ha fra i suoi elementi ex soldati dell’Uck albanese, che, come detto, recitano ancora un ruolo e potrebbero essere usati come elemento destabilizzante di un Paese conteso.
La Macedonia rischia di diventare una nuova Ucraina?
No, non credo. Sono due Paesi con caratteristiche troppo differenti. Kiev è grande e con una forte presenza filorussa. Skopje molto più piccolo e con una componente albanese, che resta però una forte minoranza. Può essere però un grande problema per la stabilità regionale, oltre a dimostrare che Putin è un po’ come il suo amico Berlusconi e come la Russia stessa, ha sette vite.
Anche per questo l’Occidente osserva da vicino ciò che accade. Una dichiarazione congiunta di Usa e Ue, assieme a Italia, Francia, Germania e Regno Unito ha denunciato l’11 maggio scorso la situazione del Paese, ponendo seri dubbi sull’impegno del governo per rispettare i principi democratici e i valori della comunità euroatlantica.
La situazione interessa o dovrebbe interessare principalmente Roma. I Balcani sono stati nel primo dopoguerra – e lo sono ancora – il ponte dell’Italia verso l’Est. Per noi quella regione è uno spazio vitale, oltre che il nostro più prossimo orizzonte geopolitico.