“La stima sulla contrazione delle esportazioni” verso la Russia “è, per tutto il 2015, inferiore all’1% del totale dell’export italiano di beni”. A spiegarlo oggi alla Camera è stato il vice ministro del ministero dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda (nella foto), intervenuto durante la discussione sulle mozioni per revocare le sanzioni dell’Ue contro la Federazione Russa.
Numeri che non combaciano con la fotografia scattata da alcune banche, imprese e istituzioni della Penisola, ma che sono in continuità con quanto spiegato dalla Banca d’Italia nella sua relazione annuale presentata il 26 maggio scorso nel corso dell’assemblea dei soci dell’Istituto centrale, e anche con un rapporto del Dipartimento di Stato americano consegnato a Matteo Renzi durante il recente G7 in Germania.
UNA PERDITA MODESTA
Per Calenda, “la perdita”, già di per sé modesta” è peraltro “ampiamente recuperata dall’aumento dell’export italiano verso gli Usa nel solo primo quadrimestre di quest’anno. Mercato – ha sottolineato il vice ministro – su cui si è concentrato l’investimento promozionale del governo (circa 260 i milioni di euro, ndr) proprio nei settori più colpiti dalla crisi russa, a partire dall’agroalimentare, al fine di offrire uno sbocco alternativo alle aziende italiane”. La tesi del Mise è confermata dalla relazione di Palazzo Koch, secondo il quale, contrariamente a quanto lascerebbe pensare il legame tra le economie di Roma e Mosca, “alla fine del 2014 l’esposizione delle nostre banche verso la Russia ammontava a circa 18 miliardi di euro, seconda solo a quella delle banche francesi; rappresentava, tuttavia, meno dell’1 per cento dell’esposizione totale del nostro sistema bancario ed era prevalentemente di natura indiretta, ascrivibile all’attività delle controllate in Russia dei gruppi bancari italiani”. Un piccolo vuoto, che Palazzo Chigi medita comunque di colmare e se possibile superare aumentando gli scambi con gli Stati Uniti, diretta conseguenza della firma del trattato di libero commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il Ttip.
Tuttavia, ciò non vuol dire affossare il dialogo con la Russia. “L’Italia – ha proseguito il numero due del dicastero retto da Federica Guidi, che per volontà del premier ha partecipato alla cosiddetta Davos di Putin – ha svolto e continuerà a svolgere, in raccordo con i partner europei e internazionali, un ruolo costruttivo per facilitare la risoluzione della crisi e il ritorno alla piena normalità nei rapporti con Mosca”.
LE LAMENTELE DI FALLICO
Parole che non rassicurano Antonio Fallico, presidente dell’associazione Conoscere Eurasia e presidente di Banca Intesa Russia. Un’inchiesta pubblicata oggi da Repubblica raccoglie le impressioni del banchiere, che sostiene senza mezzi termini che le sanzioni contro la Federazione avrebbero “trascinato l’economia in un vicolo cieco e messo in stallo il business di migliaia di imprese italiane”, Poi l’invito: “Occorre ripartire dall’economia per riaprire il dialogo e riallacciare senza indugio le relazioni commerciali. La bilaterale italo russa del Forum economico Internazionale di San Pietroburgo è un punto di ripartenza importante, da cui può dipendere anche lo sblocco di contratti già siglati tra le imprese russe e italiane per un valore che si aggira tra i 3 e i 4 miliardi di euro”.
LE OPINIONI DI SACE E ICE
Stessa linea per Sace, che nelle scorse settimane, attraverso le parole del suo capo economista Alessandro Terzulli, aveva ricordato: “Il problema è più ampio delle sole sanzioni, che di per sé valgono non più di 160 milioni di euro per i quattro settori colpiti (frutta, pesce, formaggi, carne)”. Ad essere colpiti sono anche molti istituti in black list, “l’intero meccanismo internazionale dei pagamenti” e anche i grandi affari di Eni, alle prese con un rallentamento di alcune attività esplorative in acque profonde nel Mar Nero e nel mare di Barents. L’anno scorso il Made in Italy in Russia è crollato a 9,5 miliardi (-11,6%) mentre nel 2013 le esportazioni erano di “10,8 miliardi”, prosegue Repubblica. E anche il presidente dell’Ice, Riccardo Monti, aveva puntualizzato che “le sanzioni danneggiano più Roma che Mosca”.
NON SOLO ECONOMIA
Cifre e valutazioni non condivise dal governo, che ad ogni modo chiarisce come l’intento delle sanzioni non sia quello di punire un Paese amico, ma di arginare l’aggressività russa e impedire che il Cremlino commetta nuovi e imperdonabili errori, come quello in Crimea. Bisogna prima di tutto, ha rimarcato Calenda, “tutelare il principio di salvaguardia dell’integrità territoriale, che rappresenta la ragione dei provvedimenti adottati verso la Federazione Russa. Quando questo principio è messo in discussione alle porte dell’Europa, – ha concluso il vice titolare del Mise – allora la sua tutela non è solo un atto dovuto verso i principi del diritto internazionale e della legalità, ma anche e soprattutto un atto necessario per difendere interessi nazionali che vanno ben oltre quelli del commercio”.