“Sei minuti dopo mezzanotte.” L’orario, scrupolosamente annotato dai cronisti del “Corriere della Sera”, è quello in cui Matteo Salvini è uscito dal portone di villa San Martino, ad Arcore. Tre ore prima, intorno alle 21 di martedì 23 giugno, era cominciato il primo incontro tra il leader della nuova Lega e Silvio Berlusconi. Forse a causa di questi orari un po’ tardi, o forse perché dalla cena non è uscita nessuna clamorosa decisione, l’incontro non ha trovato spazio sulle prime pagine dei maggiori quotidiani, con l’unica eccezione del “Giornale”, l’house organ della famiglia Berlusconi. E invece la notizia c’era, eccome se c’era. Perché, a parte il fatto che al posto del vecchio Bossi a rappresentare la Lega in casa del Cavaliere si è presentato Salvini, il punto è che questa è la prima volta che il sire di Arcore si è trovato faccia a faccia con il capo di un partito di destra che tutti i sondaggi, chi più, chi meno, danno ormai in vantaggio su Forza Italia.
Come è giunto questo partito politico, che solo un paio d’anni fa appariva spacciato, a sopravanzare quello guidato da Silvio Berlusconi, ovvero quello che è stato di gran lunga la forza principale del centro-destra per un ventennio, e cioè dal 1994 all’inizio del 2015? Rispondere a questa domanda significa ripercorrere l’azione condotta da Matteo Salvini nella prima metà di quest’anno.
Piazza del Popolo
Primo tempo. In vista delle elezioni che si terranno di lì a tre mesi in 7 Regioni e in numerosi Comuni, sabato 28 febbraio Salvini azzarda una manifestazione molto lontano dall’erba di Pontida, e cioè sui sanpietrini di piazza del Popolo, a Roma. Duplice lo scopo dell’iniziativa.
Punto uno: presentare una nuova immagine della Lega il cui il richiamo originario e identitario al Nord è ormai molto affievolito, e che si pone come forza politica capace di intercettare bisogni ed esprimere umori diffusi in un paese sofferente per una prolungantesi crisi economica. Capace, comunque, di aggregare spezzoni sociali e forze politiche con cui dar vita a una nuova ipotesi di destra-destra. Capace, perfino, di esibire un profilo culturale basato sulla appropriazione esplicita o implicita di autori e temi che alla destra non appartengono. Ma, soprattutto, capace di superare gli ipotetici e mitizzati confini della Padania per scendere sempre più a Sud, diventando una forza politica di dimensione nazionale, ancorché non priva di qualche aggancio europeo, tipo Marine Le Pen.
Punto due. Presentare una nuova immagine di Matteo Salvini come leader politico nazionale che si contrappone direttamente al capo del Governo, Matteo Renzi, e punta, per questa via, a soppiantare un Silvio Berlusconi, che appare ormai in caduta libera dopo il fallimento del cosiddetto patto del Nazzareno, quale guida dell’opposizione di destra alla maggioranza baricentrata sul Pd.
La campagna elettorale
Secondo tempo. Apparentemente dimentico dell’operazione relativamente complessa abbozzata a piazza del Popolo, tra l’inizio di marzo e la fine di maggio Salvini conduce una campagna elettorale mediaticamente sguaiata. Una campagna basata, da un lato, su dichiarazioni estremisticamente avverse all’ondata migratoria che si dirige da varie direzioni verso i nostri confini; e, dall’altro, nelle sue puntate a Sud del Po, su pretese ispezioni a un paio di campi Rom o su annunciati comizi in diverse località. Iniziative, queste, che provocano presìdi e altre contromanifestazioni promossi da gruppi di autonomi lodevolmente antirazzisti, ma politicamente ingenui. Nel senso che il conflitto fra opposti estremismi crea quei fatti-notizia, tra l’altro finanziariamente gratuiti per le casse della Lega, che danno un’immeritata eco alle iniziative di Salvini. Il quale, da una parte, sostituisce così all’ormai superato “Prima il Nord” di Bobo Maroni, un “Prima gli italiani” che ha un indubbio appeal nell’estrema destra orfana di Alleanza nazionale. Mentre, dall’altra, può indossare i panni del pacifico comiziante cui gli estremisti “rossi” impediscono di parlare; panni più attraenti per i cosiddetti “moderati”, cioè per i conservatori delusi da Berlusconi.
Salvini, peraltro, agisce in modo accorto nella scelta dei candidati, puntando su figure sicuramente presentabili, come Claudio Borghi Aquilini, docente di economia alla Cattolica di Milano e candidato Presidente della Toscana. E soprattutto, pur essendo in concorrenza con Berlusconi per la supremazia elettorale nel centro-destra, si guarda bene dal muovere contro il Cavaliere anche un solo attacco diretto che possa offrire il fianco a eventuali repliche.
Gli scrutini
Terzo tempo. Domenica 31 maggio è il giorno delle elezioni regionali (primo turno per i Comuni maggiori). Al termine degli scrutini, Salvini può constatare di aver ottenuto un buon raccolto.
Riconquistando con Zaia il Veneto, nonostante la scissione pre-elettorale di Tosi, la nuova Lega di Salvini si conferma alla testa di due su tre fra le grandi regioni del Nord: Lombardia e, appunto, Veneto. Inoltre, la Lega può vantarsi di aver dato un apporto decisivo quale primo partito (20%) del centro-destra alla vittoria conseguita dal candidato berlusconiano, Toti, in Liguria, ovvero in una Regione strappata al Centro-sinistra che la guidava da anni.
Ma non basta. Perché la nuova Lega di Salvini dimostra di essere ormai scesa non solo a Sud del Po, cosa già vista nelle elezioni regionali svoltesi nel 2014 in Emilia-Romagna, ma anche a Sud del Rubicone, ottenendo affermazioni significative nelle tre regioni rosse dell’Italia centrale: Toscana, Umbria e Marche. Più in generale, la Lega si afferma come il primo partito di centro-destra nelle sei regioni in cui si è presentata (le cinque già citate più la Puglia), mentre Forza Italia mantiene la primazia in voti assoluti sul piano nazionale solo grazie al risultato conseguito in Campania (dove peraltro, senza la Lega, perde la Regione a vantaggio del centro-sinistra, qui guidato da Vincenzo De Luca).
Pontida
Domenica 21 giugno, Salvini può presentarsi vittorioso sul pratone di Pontida. Qualcuno deve aver spiegato a Salvini (o forse, chissà, c’è arrivato da solo) che, con le sue minacce contro Rom e Sinti, ha esagerato. Perché è probabilmente vero, da un lato, che abbia intercettato il fastidio e il rancore che i penultimi provano nei confronti degli ultimi; ma, dall’altro, ha anche costruito un’immagine di sé poco presentabile per chi ambisca a porsi come forza di governo. Salvini sale così sul palco indossando una t-shirt con su stampata la figurina dell’ormai famosissima ruspa. Quella che, durante la campagna elettorale, simboleggiava il progetto (immaginario?) di radere al suolo i campi Rom. Ma cosa avete capito? La ruspa, spiega il Matteo milanese, “non è per i Rom, è per Renzi. Prima mandiamo a casa Renzi, poi pensiamo ai campi Rom”. E comunque, “noi non dobbiamo far paura a nessuno”.
Salvini coglie inoltre, con grande rapidità, l’occasione di strizzare l’occhio ai tradizionalisti che il giorno prima, sabato 20 giugno, hanno manifestato a Roma, in piazza San Giovanni, per opporsi a una proposta di legge Pd che, puntando a introdurre nel nostro ordinamento le cosiddette unioni civili, potrebbe essere utilizzata da coppie di omosessuali. E lo fa ricordando che “il buon Dio ci ha fatti diversi”. Facendo salire sul palco di Pontida frotte di bambini e bambine, figli dei convenuti leghisti. Esternando il desiderio di vivere in un “paese normale”. E invocando “gioia, sorriso, normalità, pace”, come se fosse diventato improvvisamente una specie di figlio dei fiori.
Il fatto è che tutta la giornata di Pontida è giocata da Salvini – che, a 42 anni di età, festeggia i 25 anni di iscrizione alla Lega – su un triplice registro.
Primo registro: incassata l’indubbia avanzata elettorale, consolidare la vittoria. Nella base tradizionalmente leghista, quella che in Pontida si riconosce. Con frasi tipo: “La Lega non è un partito, è un qualcosa che abbiamo dentro”. E con concessioni al folclore neo-celtico, come la cornamusa che, in apertura di comizio, suona in onore dei leghisti “che non ci sono più, ma ci seguono da lassù”. Ma anche nel gruppo dirigente. A Roma, a piazza del Popolo, su 13 interventi che avevano preceduto la conclusione di Salvini, aveva preso la parola un solo leader leghista, Luca Zaia, Presidente del Veneto uscente e candidato alla rielezione. Qui a Pontida è il contrario. Prima prendono la parola due nuovi arrivati dal Mezzogiorno: il campano Nicola Marotta, sindaco di Roccagloriosa, e la pugliese Stefania Alita, neo eletta al Consiglio comunale di Andria nella lista “Noi con Salvini”. Poi è un crescendo di dirigenti leghisti: dal capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga, al capogruppo al Senato, Gian Marco Centinaio. Che, elegantemente, incita la folla: “Renzi, Renzi, vaffanculo”. Dal fido Giorgetti, all’immarcescibile Calderoli. Il quale non si perita di ricordare che suo nonno aveva fondato un’associazione il cui motto era: “Bergamo nazione, tutto il resto è Meridione”. Così, tanto per ripassare i fondamentali. E poi ancora su, su fino ai due Presidenti, Maroni, della Lombardia, e Zaia, del Veneto. E all’abbraccio di Salvini col fondatore, Umberto Bossi. Il quale, sia detto di passaggio, indossa una camicia verde. Perché anche lui ci tiene, ai fondamentali.
Secondo registro: rassicurare l’opinione pubblica moderata, anche del Centro-Sud, rivolgendosi in primo luogo a quelli che il Pci chiamava i “ceti medi produttivi”. “Non esistono più destra e sinistra. Esistono produttori e parassiti. Noi – scandisce Salvini – siamo con i produttori.” E insistendo sul fatto che il nostro dovrebbe essere “un paese normale, dove si lavora e si studia”.
Terzo registro: predisporsi, implicitamente, all’inevitabile nuovo incontro con Forza Italia. E qui Salvini sciorina gli elementi di una sua piattaforma non incompatibile con quella del Cavaliere.
La piattaforma
Politica economica? Tutto ruota attorno alla flat tax al 15%. Un’idea propagandata dal palco di piazza del Popolo e che adesso, come segnalato da Dario Di Vico sul “Corriere della Sera” del 22 giugno, è condensata in una proposta di legge depositata alla Camera dal capogruppo Fedriga, Ma che in passato, almeno come principio ordinativo di una possibile politica fiscale, ha avuto dei fans anche fra gli azzurri.
Politica estera? A Pontida, Salvini si è scordato di Marine Le Pen, che in Francia, poverina, sta all’opposizione. Ha citato invece una triade ideale formata da uomini che sono a capo di tre paesi, tutti europei, ma estranei all’eurozona e variamente posizionati – chi in termini polemici, chi in modo ostile – verso l’Unione. L’inglese Cameron, sempre più popolare fra i conservatori italiani. Il russo Putin, carissimo allo stesso Berlusconi. E il magiaro Orbán, quello che vuole tirare su un muro per impedire agli immigrati di entrare in Ungheria passando dal confine con la Serbia.
Già, gli immigrati. E qui si torna a bomba. Perché se qualcuno avesse pensato che, durante la campagna elettorale, anche sul tema dell’immigrazione Salvini aveva esagerato, nel senso di aver rischiato l’impresentabilità, deve ricredersi. A poche ore dal voto, il neo eletto Toti, benché fedelissimo del Cavaliere, si è subito allineato alle posizioni dure assunte da Maroni e da Zaia respingendo l’ipotesi di accettare altri profughi nelle proprie Regioni.
Arcore
Ora è evidente che non basta prendere voti. Dopo bisogna pur farci qualcosa, in termini di governo. E senza un’alleanza con Berlusconi, la nuova Lega non andrebbe da nessuna parte. Questo Salvini lo sa. Così come, a suo tempo, lo sapeva Bossi per la vecchia Lega. D’altra parte, il reciproco vale per un Berlusconi che sembra aver abbandonato qualsiasi ipotesi di intesa, anche parziale, con Matteo Renzi.
Come abbiamo appena visto, in termini programmatici non dovrebbero esserci grosse difficoltà nei rapporti tra la nuova Lega di Salvini e la rinata Forza Italia di Berlusconi. Due formazioni politiche i cui leaders, del resto, non sono secondi a nessuno, quanto a pragmatismo. Le difficoltà del rapporto saranno quindi squisitamente politiche. Ruotando attorno alla domanda: quale sarà il partito guida dell’alleanza? O più esplicitamente: chi sarà il leader che guiderà l’alleanza nella lotta volta a scalzare Renzi da Palazzo Chigi? Il faccia a faccia di Arcore non ha sciolto questi interrogativi. Ma nessuno si aspettava che ciò potesse accadere al primo incontro. Quel che è certo è che la risposta non sarà uguale se le prossime elezioni politiche si terranno alla scadenza naturale del Parlamento, nel 2018 o, come alcuni pensano, in una data anticipata.