La complessa partita di aggregazioni, integrazioni e acquisizioni tra le più grandi banche popolari italiane costituisce una vittoria indiscutibile dell’offensiva promossa da governo, Banca d’Italia e Bce per la radicale innovazione del credito mutualistico e territoriale. Nel segno di un avvicinamento agli istituti di tipo commerciale organizzati in società per azioni e orientati verso la finalità primaria del profitto.
“Nessun altro governo ha colpito le banche territoriali”
Tuttavia nell’Unione Europea e nel resto del pianeta le banche coinvolte nel progetto riformatore di Palazzo Chigi giocano un ruolo strategico rispetto al tessuto economico. E godono di strategie di supporto da parte delle autorità politiche.
Lo aveva spiegato tempo fa a Formiche.net Giovanni Ferri, professore di Economia politica all’Università Lumsa di Roma: “Nessun paese serio del mondo pensa di rimuovere un modello creditizio con un editto fissando arbitrariamente una soglia dimensionale. In Francia, Germania, Austria, Olanda, Finlandia, Canada e in moltissime altre realtà esistono istituti fondati sul principio ‘una testa un voto’. E che vanno ben oltre il tetto stabilito dall’esecutivo del nostro paese”. E lo stesso Ferri ha ripreso e aggiornato il quadro con un intervento la scorsa settimana su Formiche.net.
Riflessioni riprese e sviluppate nel pamphlet intitolato “La cooperazione bancaria mondiale. Una realtà in espansione”, scritto dal segretario generale dell’Associazione nazionale banche popolari Giuseppe De Lucia Lumeno.
Le ragioni di performance lusinghiere
Libro che illustra, attraverso cifre e analisi comparate, un fenomeno in crescita tanto negli Stati avanzati quanto nelle nazioni emergenti.
L’universo del credito cooperativo a livello internazionale presenta 200mila intermediari, 430 milioni di soci – ben il 16 per cento della popolazione attiva del pianeta – e 730 milioni di clienti in 110 paesi. La raccolta di capitali raggiunge i 9mila miliardi di euro, mentre l’erogazione di risorse è pari a 7mila miliardi di euro, il 10 per cento del Prodotto interno mondiale.
La ragione di tali performance, rileva l’autore, risiede nella preservazione legislativa del regime giuridico e nel frazionamento azionario delle banche popolari favorito dal “voto capitario”: “Fattore che ha evitato la loro assimilazione al modello capitalistico puro, valorizzandone la penetrazione capillare e la vocazione territoriale”.
La forza della “democrazia economica”
Grazie a tale specificità, rimarca il rappresentante di Assopopolari, il credito mutualistico è riuscito ad affrontare le sfide del rinnovamento finanziario conservando il legame inclusivo con l’imprenditoria medio-piccola e con la comunità di riferimento. Attualmente 25 banche su 91 quotate nelle borse europee afferiscono al mondo cooperativo, con partecipazioni di investitori istituzionali che ruotano attorno al 35 per cento del capitale.
È questo spirito di “democrazia economica” il fil rouge che unisce le esperienze comunitarie e mondiali esaminate dal libro. Realtà nelle quali “i soci cooperatori riescono a partecipare attivamente alle scelte e alla vita aziendale, eleggendo altri soci “custodi del valore di proprietà diffusa e della formula imprenditoriale-solidale”.
Il panorama del credito popolare nei 5 continenti
L’universo bancario popolare è stato ritenuto da molti un “rifugio sicuro” nella stagione della crisi economica. E le cifre lo confermano.
L’Europa vanta 7.100 istituti creditizi con 70 milioni di soci, una raccolta di 4.500 miliardi ed erogazioni pari al 23,7 del Prodotto interno lordo continentale. L’America del Nord presenta 8.182 realtà con 111 milioni di soci, 858 miliardi di raccolta e 725 miliardi di crediti. L’America Centrale vede 412 banche con 3 milioni di soci, 3 miliardi di raccolta e altrettanti di prestiti. L’America Latina contribuisce con 3.070 istituti che coinvolgono 27 milioni di soci, producendo 32 miliardi di raccolta e 32 di crediti.
L’Africa ne conta 25.944 con 17 milioni di soci, 32 miliardi di raccolta e 25 di risorse erogate. L’Asia ha 155.214 banche con 201 milioni di soci, 3.519 miliardi di raccolta e 1.710 di crediti. L’Oceania annovera 278 realtà con 5 milioni di soci, 55 miliardi di raccolta e altrettanti di prestiti.
Il ruolo del credito cooperativo in Europa
Nelle nazioni più avanzate le banche popolari contribuiscono tramite robuste riserve di capitale, diversificazione dei rischi e centralità dei clienti alla stabilità dell’assetto creditizio e finanziario.
È sufficiente considerare che nell’Unione Europea tra il 2006 e il 2014 oltre 90 milioni di nuovi clienti hanno scelto la cooperazione bancaria. Persone attratte dalla possibilità di “investimenti pazienti” in fondi non speculativi. E da fattori come il trattamento agevolato riservato ai soci-cooperatori nell’erogazione di prestiti per il muto-casa delle giovani coppie, il finanziamento del percorso di studio per i figli, il supporto delle start-up imprenditoriali.
L’Ue registra un’elevata penetrazione del fenomeno in paesi all’avanguardia per tasso di produttività. La Germania fonda il proprio tessuto creditizio su una rete di banche popolari e cooperative regionali, che prevedono un tetto di 5 certificati di partecipazione o quote per i soci. Realtà capaci di fornire i più avanzati servizi finanziari grazie al collegamento con un network più ampio formato da intermediari specializzati nel credito ipotecario, nelle assicurazioni e negli investimenti mobiliari.
L’Austria permette alle Popolari di assumere partecipazioni in aziende con una forma giuridica differente rispetto a quella cooperativa. La Francia ha creato giganti del calibro di Credit Agricole consentendo agli istituti mutualistico-territoriali di svolgere operazioni creditizie con tutti i tipi di imprese. L’Olanda ha visto affermarsi il colosso Rabobank pur ponendo limiti stringenti alla distribuzione dei dividendi delle banche cooperative.
Le esperienze nordamericane
Nel continente americano gli Stati Uniti vedono all’opera le piccole Credit Unions, costituite dai lavoratori di grandi compagnie che si rivolgono direttamente alle famiglie anziché alle imprese e tendono a ridurre al minimo i rischi finanziari. Mentre il Canada è caratterizzato dalle Caisses Dejardins, molto attente all’analisi e gestione del portafoglio.
Il vivace panorama dell’Asia
Nei paesi asiatici, caratterizzati da mancanza di equità nel vorticoso sviluppo degli ultimi anni e da un’attenzione crescente verso le forme di micro-credito, molti istituti cooperativi sono stati promossi dai governi per aiutare i contadini più poveri che vivono nelle zone rurali remote. E per favorire l’accesso dei ceti disagiati più intraprendenti a risorse preziose per le loro aspirazioni ed esigenze.
Ne scaturisce un quadro variegato e dinamico. Dal Giappone, che con la Norinchukin assiste milioni di agricoltori e pescatori, alla Corea del Sud forte di 2 milioni di soci delle banche popolari. Fino all’India, in cui le Primary agricolture credit societies giocano un ruolo di primo piano nell’affrancamento dalla miseria con oltre 100mila istituti creditizi e 150 milioni di aderenti.
I vantaggi del “voto capitario”
Emerge – scrive l’autore – una rete fondamentale per fronteggiare i problemi di povertà e promuovere lo sviluppo economico in una logica di responsabilità personale e sociale, auto-governo locale e sussidiarietà, aiuto reciproco e integrazione. “Tratti distintivi che, nell’osservanza di regole di mercato e corretta gestione finanziaria, hanno reso le banche territoriali competitive rispetto agli istituti commerciali finalizzati esclusivamente al profitto”.
Grazie al principio “una testa un voto” – aggiunge De Lucia Lumeno – le Popolari hanno evitato il rischio di accentramento di potere e controllo nelle mani di ristrette minoranze, favorendo un relation banking prezioso per gli investimenti e la creazione di valore nel lungo termine: “Tutto ciò nella logica di efficace allocazione di risorse e redditività economica sana”.