Con le primarie abbiamo esagerato. Anzi, “Basta con le primarie”. È l’ultima novità di Matteo Renzi. Come se Renzi dicesse di chiamarsi Enrico Letta.
Eh sì, perché disconoscere quello strumento di partecipazione dei cittadini alla vita dei partiti – divenuto primo comandamento del verbo renziano – è come rottamare un po’ la rottamazione. Come dire che è preferibile indicare candidati delle segreterie nazionali e locali del Pd. Peccato che Renzi 2 dica il contrario di Renzi 1, quando i proprietari della Ditta erano altri e non l’attuale premier.
Ma forse lo sconforto per i risultati delle regionali e delle amministrative è sfociato in un impeto non troppo ragionato e ponderato, come quello raccontato oggi su Repubblica da Goffredo De Marchis. Comunque, la rottamazione delle primarie (anche solo pensata come sfogo) rientra in quella sorta di arrocco del presidente del Consiglio che si rinchiude nel suo Giglio Magico, mentre l’entourage governativo e istituzionali perde pezzi.
L’uscita di Lapo Pistelli (l’ex viceministro degli Esteri è diventato senior vice president Eni) segue in ordine cronologico altre partenze, come quella dell’economista Tommaso Nannicini, che aveva curato la stesura del Jobs Act e che ha preferito un progetto di ricerca interrompendo l’esperienza a Palazzo Chigi. Così come pure il giuslavorista e senatore Pietro Ichino ha sollevato sul suo blog rilievi ai recenti provvedimenti attuativi del Jobs Act. Per non parlare del prossimo, potenziale, siluramento del presidente di Cdp, Franco Bassanini, che non poco – in pubblico, anche via Twitter, e non solo in privato – aveva sostenuto il pensiero e l’azione del premier. Per non parlare dei mugugni sempre più fragorosi che provengono da ambienti del Pd legati ad ex premier democrat che si erano lanciati pubblicamente in aperture di credito nei confronti del premier. E anche l’editoriale di prima pagina di Repubblica, firmato da Ezio Mauro, con critiche secche al renzismo, di certo non è una buona notizia per l’inquilino di Palazzo Chigi. Anche perché i risultati sul terreno internazionale, a partire dalla questione delle quote degli immigrati, non sono sfavillanti.
Per questo c’è chi dice, anche in ambienti governativi, che Renzi da un uomo solo al comando rischia di trasformarsi in un uomo solo.