È davvero certo che la caduta dell’interscambio tra Italia e Russia sia dovuta solo all’effetto delle sanzioni e non – anche – alla debolezza del rublo, al crollo del prezzo del petrolio e alla conseguente crisi economica di Mosca?
LA LETTURA DOMINANTE
Il giorno dopo la visita di Vladimir Putin in Italia e Vaticano, la prima lettura è quella che trova maggiore spazio sui grandi giornali italiani, che raccolgono le opinioni e i sentimenti degli addetti ai lavori.
I NUMERI DELL’EXPORT
“Otto milioni al giorno, sabato e domeniche inclusi” – scrive oggi sul Sole 24 Ore Luca Orlando – “è il conto della crisi in Russia per il sistema industriale italiano”. “Nei primi quattro mesi del 2015 la riduzione dell’export verso Mosca supera infatti i 900 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e proiettando il trend (-29,4%) sui dodici mesi, la voragine si amplierebbe a 2,8 miliardi, riportando di fatto le statistiche delle nostre vendite in Russia nel lontano 2009”. In termini assoluti, spiega il quotidiano diretto da Roberto Napoletano, il “colpo più pesante è per il macro comparto del pellame-tessile-abbigliamento, con vendite inferiori di oltre 250 milioni rispetto al 2014 ed effetti che si propagano in modo esponenziale lungo la filiera”.
IL CROLLO DELL’INTERSCAMBIO
Su Repubblica, Eugenio Occorsio racconta di un interscambio commerciale fra Russia e Italia, secondo partner europeo di Mosca dopo la Germania, che “vive una débacle senza precedenti: -14% nei primi tre mesi dell’anno l’export italiano di meccanica strumentale (che da sola vale un quarto delle forniture),- 34% stando agli ultimi dati Istat nella moda e design, -45% nell’agroalimentare (settore direttamente colpito dalle sanzioni), addirittura -83% nella frutta e verdura”.
LE OPINIONI DI SACE E ICE
Il giornale diretto da Ezio Mauro fa poi il punto della situazione con Alessandro Terzulli, capo economista della Sace: l’Italia ha oltre 5 miliardi di operazioni di export e investimento assicurate in Russia, ricorda, e che spiega: “Il problema è più ampio delle sole sanzioni, che di per sé valgono non più di 160 milioni di euro per i quattro settori colpiti (frutta, pesce, formaggi, carne)”. Ad essere colpiti sono anche molti istituti in black list, “l’intero meccanismo internazionale dei pagamenti” e anche i grandi affari di Eni, alle prese con un rallentamento di alcune attività esplorative in acque profonde nel Mar Nero e nel mare di Barents. L’anno scorso il Made in Italy in Russia è crollato a 9,5 miliardi (-11,6%) mentre nel 2013 le esportazioni erano di “10,8 miliardi”, prosegue Repubblica. E sempre sul giornale di Largo Fochetti, il presidente dell’Ice, Riccardo Monti, puntualizza che “le sanzioni danneggiano più Roma che Mosca”.
LE SOFFERENZE DI FEDERALIMENTARE
Ancora più chiaro è stato Putin, che ieri – come sottolinea Fabrizio Dragosei sul Corriere della Sera – ha parlato “dei mancati investimenti di aziende italiane in Russia”. Il quotidiano di Via Solferino rimarca che “l’interscambio tra Italia e Russia è sceso l’anno scorso del 10 per cento, passando da 53,8 a 48,4 miliardi. Ma all’inizio del 2015 è crollato di un quarto”. Nello specifico, il settore agroalimentare ha perso nel 2014 “il 6 per cento”. Nei primi due mesi del 2015 “la Federalimentare denuncia un crollo dell’export del 46,3 per cento che può essere parzialmente imputato alle contro-sanzioni russe che Mosca, peraltro, potrebbe ovviamente annullare unilateralmente in qualsiasi momento. In meno di un anno, le nostre imprese hanno perso 165 milioni di euro, denuncia l’associazione di settore”.
LA CONTRO TESI USA
Ad attutire la forza di queste tesi, ci sono, però, per molti addetti ai lavori, dati che evidenziano un generale contesto difficile per l’economia di Mosca, che secondo il Fondo monetario internazionale è in profonda recessione, registrando nelle previsioni per il 2015 un -5% di Pil. Mentre la svalutazione del rublo ha toccato il 50% sia sull’euro che sul dollaro e, secondo alcune stime, porterà nell’anno in corso l’inflazione al 12,2% e forse oltre. Non solo. Durante il recente G7 in Germania, Barack Obama ha consegnato a Matteo Renzi un documento che Casa Bianca e Dipartimento di Stato americano hanno preparato per la delegazione italiana. Non è chiaro se il testo sia lo stesso che il presidente Usa aveva mostrato al capo del governo italiano nella sua ultima visita a Washington e di cui Formiche.net aveva ampiamente parlato alla fine di aprile. La tesi e i contenuti, però, sarebbero gli stessi: nel dossier – intitolato “OCE Paper on Italy’s Trade with Russia under Sanctions” – fitto di cifre, prese dalle statistiche ufficiali di Mosca, si confuta quanto dice anche la Confindustria italiana secondo cui la nostra economia pagherebbe un prezzo eccessivo per la caduta dell’export verso la Russia e si documenta l’impatto decisivo del calo del prezzo del petrolio, che ha impoverito Mosca e ha fatto crollare il suo commercio anche con Pechino, che non partecipa alle sanzioni.
IL FOCUS DI BANKITALIA
L’equazione può non valere per tutti i Paesi, ma a sposare la linea americana è anche la Banca d’Italia, che lo ha spiegato nella sua relazione annuale presentata il 26 maggio scorso nel corso dell’assemblea dei soci dell’Istituto centrale. In un focus contenuto nella relazione allegata alle Considerazioni finali lette dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si metteva nero su bianco che nonostante il calo dell’interscambio tra i due Paesi, “gli effetti sulla crescita della nostra economia del rallentamento della domanda in Russia sono stati tuttavia modesti“. Secondo Bankitalia “le sanzioni hanno contribuito, insieme con gli effetti della caduta delle quotazioni internazionali del petrolio, ad aumentare l’incertezza sulle prospettive dell’economia russa, accentuandone il rallentamento in atto da tempo per cause di natura strutturale.” L’Italia, che nel 2013 destinava alla Russia il 2,8 per cento delle sue vendite all’estero di beni, “lo scorso anno ha visto ridursi il valore delle esportazioni verso quel paese dell’11,6 per cento”.
POCHE CONSEGUENZE
Però, sottolinea la relazione dell’Istituto governatore da Visco, contrariamente a quanto lascerebbe pensare il legame tra le economie dei due Paesi, “gli effetti sulla crescita della nostra economia del rallentamento della domanda in Russia sono stati tuttavia modesti. Anche i riflessi sul sistema bancario italiano sono stati sinora contenuti”. Alla fine del 2014, secondo gli studi di Palazzo Koch, “l’esposizione delle nostre banche verso la Russia ammontava a circa 18 miliardi di euro, seconda solo a quella delle banche francesi; rappresentava, tuttavia, meno dell’1 per cento dell’esposizione totale del nostro sistema bancario ed era prevalentemente di natura indiretta, ascrivibile all’attività delle controllate in Russia dei gruppi bancari italiani”.