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Ucraina, perché l’Europa rinnoverà le sanzioni a Mosca

Forse le sanzioni occidentali per la crisi ucraina non stanno dando la spallata finale alla Russia, ma rappresentano l’unico modo per costringere Vladimir Putin a rispettare la tregua di Minsk. È l’idea che si fa largo a Bruxelles, dove i Paesi europei saranno chiamati entro fine luglio a mettersi d’accordo e decidere se aumentarle, rinnovarle o interromperle.

LA DISCUSSIONE

Fino ad ora, spiega Quartz, il presidente russo ha scommesso che le divisioni in seno all’Europa riguardo la politica da adottare con la Russia avrebbero alzato la probabilità che queste misure non proseguissero. Tuttavia i 28 stati membri si sarebbero convinti che le sanzioni – unite a un basso prezzo del petrolio e a un rublo in calo – rappresentino oggi l’unica garanzia di tenere a freno le mire espansionistiche e destabilizzatrici del Cremlino. Un atteggiamento aggressivo confermato, secondo la stampa internazionale, da una lista segreta stilata proprio da Putin, che includerebbe 89 nomi di personalità politiche e funzionari militari di tutta Europa a cui è interdetto l’ingresso in Russia.

UNA SCELTA FACILE

Per il Wall Street Journal, la scelta di proseguire sulla strada delle sanzioni pare scontata a Bruxelles. E la ragione è nel caos che avvolge ancora la parte orientale del territorio di Kiev. Dopo quasi quattro mesi dalla tregua del 15 febbraio, ieri i ribelli filo russi hanno attaccato le postazioni militari del governo ucraino in quella che fonti di entrambi gli schieramenti descrivono come la più intensa battaglia da mesi. Circostanze che preoccupano i Paesi europei, persuasi dal fatto che allentare adesso le sanzioni potrebbe aumentare il rischio che la situazione sfugga completamente di mano, accendendo ancor di più un conflitto alle porte del Vecchio Continente.

IMPATTO LIMITATO

Non solo. A far cambiare idea agli Stati membri potrebbe esserci anche la maturata consapevolezza che gli effetti delle misure economiche contro la Russia non abbiano avuto poi effetti troppo nefasti nei confronti dell’economia europea, come invece si temeva. L’equazione può non valere per tutti i Paesi, ma a dirlo era stata la Banca d’Italia, nella sua relazione annuale presentata il 26 maggio scorso nel corso dell’assemblea dei soci dell’Istituto centrale. In un focus contenuto nella relazione allegata alle Considerazioni finali lette dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si metteva nero su bianco che nonostante il calo dell’interscambio tra i due Paesi, “gli effetti sulla crescita della nostra economia del rallentamento della domanda in Russia sono stati tuttavia modesti“. Conclusioni, quelle di Palazzo Koch, che sembrano tuttavia divergere dalle stime recenti di Sace e Ice, e pure dalle preoccupazioni espresse nelle scorse settimane da Intesa Sanpaolo e dall’ex premier Romano Prodi in diverse dichiarazioni alla stampa, ma che rappresentano – per molti osservatori – una bussola tanto per Palazzo Chigi quanto, forse, per altri governi continentali.



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