Esattamente trent’anni or sono, il 9-10 giugno del 1985, si svolse il referendum sulla cosiddetta scala mobile promosso da Pci per l’abrogazione del decreto emanato, l’anno precedente dal Governo Craxi, che aveva soppresso tre punti dell’indennità di contingenza (il meccanismo di rivalutazione automatica delle retribuzioni al costo della vita) nel quadro delle iniziative di contrasto di quell’infernale meccanismo che consolidava l’inflazione, anziché tutelare i salari.
La tempesta, da tempo in agguato, si scatenò concentrata in un breve arco di tempo. La fase acuta durò dal 14 febbraio (quando venne emanato il decreto) al maggio del 1984, poi ci fu un momento di armistizio, ben presto interrotto con la ripresa delle ostilità, come vedremo, l’anno dopo. La prima fase fu caratterizzata dal famoso “decreto di S. Valentino”, il provvedimento con cui il Governo Craxi intervenne sulla dinamica della scala mobile; la seconda riguardò la battaglia referendaria che ne seguì, l’anno dopo. Ambedue queste battaglie – che spaccarono il Parlamento, la sinistra – si combatterono ad ogni livello nel Paese, ma la prima linea attraversava la Cgil, in cui le componenti vivevano da “separate in casa”: i comunisti convocavano manifestazioni oceaniche in piazza, i socialisti si riunivano in alcune centinaia in qualche sala chiusa. E’ inutile chiedersi se nelle loro posizioni pesasse di più la convinzione di essere nel giusto o il forte richiamo dell’identità. Il fatto è che tennero duro, nonostante tutto.
Anche l’atteggiamento dei comunisti fu, in generale, responsabile. Probabilmente, poiché loro sentivano molto la disciplina di partito erano disposti a riconoscere questo diritto anche agli altri. A loro sembrava normale che un dissenso radicale, a livello partitico, comportasse ricadute tanto serie nel sindacato. Tutto sommato, però, la costituzione materiale della Cgil funzionò anche in quei mesi di assoluto black out. I comunisti usarono un’intelligente prudenza, come se avessero fatto tesoro dell’esperienza del 1948; non si avvalsero mai del diritto della maggioranza in tutti gli organi dirigenti per decidere e proclamare degli scioperi che impegnassero la sola Cgil (ci furono solo astensioni dal lavoro “spontanee”, fatte a caldo, col solito metodo).
Dove furono in grado, i comunisti si servirono di consigli di fabbrica (i c.d. autconvocati), al punto di metterne insieme un gruppo a cui era imputata l’adozione delle iniziative di lotta. I delegati appartenenti alle altre organizzazioni sindacali erano esibiti come tante Madonne pellegrine. Poi c’erano i soliti comitati di intellettuali, pronti a protestare contro l’attacco alle libertà sindacali. In Parlamento i gruppi del Pci e della Sinistra indipendente (composta dal fior fiore degli economisti ) facevano il boicottaggio in sede di conversione del decreto: come se ci fosse da compiere un atto di fede, tutti si iscrissero a parlare ed intervennero nella discussione. Bisognerebbe riguardare oggi quelle dichiarazioni ed esibirle ai loro autori, nel frattempo divenuti esponenti delle Istituzioni, ministri, praticanti di cultura liberale.
Poi c’era la piazza. Si svolgevano grandi manifestazioni, rigorosamente fuori dell’orario di lavoro. A Roma, alla fine di marzo, arrivarono a centinaia di migliaia (si parlò di un milione). Enrico Berlinguer li attese sul Lungotevere e al loro passaggio esibì la prima pagina dell’Unità dove stava un titolo a caratteri cubitali.” Eccoci”. Uno stuolo di registi si mise a disposizione per filmare la manifestazione. Ne uscì un lungometraggio, ben fatto, lirico e appassionato: una piccola “Corazzata Potemkin” nostrana. In quel giorno radioso dell’orgoglio comunista, Lama tenne il discorso centrale della manifestazione, insieme ad alcuni delegati, tra i quali una operaia comunista modenese, dai capelli rossi come “Pel di carota”, e un metalmeccanico bresciano iscritto alla Cisl.
Come Dio volle, la buriana passò; man mano che si avvicinava il momento della conversione del decreto la Confederazione riusciva a riprendere fiato. Per pochi mesi, però. Dopo la morte di Berlinguer, avvenuta a Padova nel corso della campagna per le elezioni europee (che tra l’altro furono un successo per i comunisti, che ottennero il 33% dei suffragi) il Pci ritenne di onorarne la memoria raccogliendo le firme per un referendum abrogativo. Venne riattivata, allora, la logica dello scontro frontale tra l’universo comunista e i suoi “compagni di strada”, da un lato, Cisl, Uil, socialisti della Cgil, partiti della maggioranza, dall’altro. Contro ogni aspettativa (a prova dell’esistenza di un paese migliore della sua classe politica: ci rifletta chi viole sottoporre a referendum abrogativo il jobs act Poletti 2.0) vinsero nettamente i no. Il contraccolpo in Cgil fu pesante.
Fortuna volle che fosse la Confindustria a levare le castagne dal fuoco con un magistrale colpo di teatro. Alle ore 14 in punto del lunedì (allora si votava ancora per due giorni), mentre si chiudevano i seggi, arrivò alle sedi delle Confederazioni una lettera di disdetta dell’accordo sull’indennità di contingenza. La Confindustria non aveva voluto turbare la votazione ed aveva colpito prima ancora che iniziasse lo spoglio, come volesse scegliere una “terra di nessuno” destinata a durare per un attimo. I sindacati si trovarono di nuovo in trincea contro il naturale avversario. Lama, dopo la inattesa ed imprevista sconfitta del Sì, impedì che la Cgil s’inviluppasse nelle polemiche e riprese in mano la situazione riannodando i rapporti con le altre organizzazioni sindacali. Iniziò il tormentone della fase finale della scala mobile. Dapprima si negoziò un altro meccanismo con il Governo in qualità di datore di lavoro dei pubblici dipendenti. Tale intesa raccolse anche l’adesione della Confindustria e di quasi tutte le altre organizzazioni padronali. Così il Governo potè recepirla con un provvedimento legislativo ed estenderla a tutto il mondo del lavoro dipendente.
La legge aveva delle scadenze. Per un paio di volte il Governo prorogò la disciplina legislativa, fino a quando, nel 1991, decise che non avrebbe ulteriormente proceduto su questa strada e volle riconsegnare la materia alle parti sociali. Nel 1992, nel protocollo triangolare sottoscritto per iniziativa del Governo Amato, la scala mobile scomparve di scena, mentre nel 1993, nel patto di concertazione promosso dal Governo Ciampi si addivenne, finalmente, ad un nuovo meccanismo di contrattazione delle retribuzioni, del quale non faceva parte alcun modello di rivalutazione automatica dei salari rispetto al costo della vita.
Sic transit gloria mundi.