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Silvio Berlusconi è risorto?

C’è un traffico da ore di punta attorno ai cronisti politici, che si vedono o sentono girare le confidenze di Matteo Renzi, raccolte dai “fedelissimi” o “intimi”, sulle cattive sorprese dei risultati delle elezioni regionali di fine maggio e dei successivi ballottaggi comunali.

D’altronde, che Renzi ci sia rimasto male, nonostante il 5 o addirittura il 10 a 2 vantato per le regioni rinnovate da quando lui ha assunto la segreteria del Partito Democratico e la guida del governo, lo hanno capito tutti, e subito, senza bisogno di carpire indiscrezioni.

E’ stato lo stesso Renzi in prima persona a parlare pubblicamente di un suo “insuccesso”, a sdoppiarsi in due edizioni contraddittorie – “Renzi 1 e Renzi 2” – in poco più di un anno e a definire questo dopo-elezioni come del “momento più difficile” di questa legislatura “da brividi” cominciata nel 2013. Che cosa poi ci trovi anche di “affascinante”, oltre che difficile, non si è ben capito. Sarà stata un’altra concessione al suo temperamento baldanzoso, al gusto della sfida in ogni direzione. Una sfida che peraltro ha finito per investire anche il collega di partito e sindaco di Roma Ignazio Marino, perentoriamente invitato a dimostrare di saper governare la città nei marosi giudiziari di Mafia Capitale e a “non stare tranquillo”: variante rovesciata dell’umoristica esortazione alla serenità rivolta ad Enrico Letta alla vigilia dell’allontanamento da Palazzo Chigi.

Pubblica, diretta e immediata è stata anche l’ammissione, da parte di Renzi, delle risorse che ha mostrato di avere il centrodestra, nonostante le sue divisioni interne. Ciò che invece non ha superato la barriera della riservatezza, né da parte sua né da parte dei “fedelissimi” e degli “intimi”, è la sorpresa del presidente del Consiglio per il ruolo che è riuscito a conservare personalmente in questo passaggio elettorale Silvio Berlusconi, nonostante le ulteriori perdite di voti della sua Forza Italia, scesa a Venezia addirittura al 4 per cento, le defezioni parlamentari non ancora finite, i sorpassi leghisti e il conseguente aumento delle ambizioni di Matteo Salvini.

Che avrà mai Berlusconi per sapere restare sulla scena anche con le sue difficoltà?, ha chiesto Renzi ai suoi interlocutori con un misto di ammirazione e preoccupazione che però non hanno superato le pareti della stanza o l’audio del cellulare. C’è forse l’interesse del presidente del Consiglio e dei “fedelissimi”, o “intimi”, a non favorire l’uomo di Arcore più ancora di quanto non stiano già facendo le circostanze. Fra le quali c’è la notizia appena diffusa, ma nota a Renzi già da qualche mese, della biografia di Berlusconi cui sta provvedendo, con l’aiuto dell’interessato, un giornalista internazionalmente noto come Alan Friedman. Che è pure autore di quell’Ammazziamo il Gattopardo in cui l’ex presidente del Consiglio ha trovato, compiaciuto, conferme o conforto alla sua vecchia e conclamata convinzione di essere stato rovesciato dalla guida del governo nel 2011 con una odiosa congiura interna e internazionale.

Le riflessioni di Renzi sull’attenzione e sul ruolo di Berlusconi si sarebbero spinte sino alla domanda se non fosse stato un errore rompere con lui, e affossare il famoso “Patto del Nazareno”, con tutte le complicazioni derivate sul percorso delle riforme, per non associarlo nella scelta del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Una domanda alla quale ne sarebbero seguite altre tre. Valeva la pena privilegiare la scelta dell’unità del Pd sulla soluzione di Sergio Mattarella, visto quello che poi i dissidenti hanno continuato a dire e a fare contro il governo? Valeva la pena dare a Berlusconi l’occasione di proporsi al pubblico come vittima di un atto di slealtà e di prepotenza politica? A questa rappresentazione di vittima, di solito produttiva di solidarietà, non potevano e dovevano bastare le sue vicende giudiziarie, peraltro sfociate nella decadenza da senatore con l’applicazione retroattiva di una legge i cui effetti ora si cerca di contenere ritardando la sospensione del pur atipico renziano Vincenzo De Luca da governatore eletto della Campania?

Di queste domande non si sono trovate grandi tracce nelle confidenze degli “intimi” e nei retroscena giornalistici anche per il comprensibile timore dei sostenitori del presidente del Consiglio di farle scambiare per uno sgarbo nei riguardi di Mattarella, come se a Palazzo Chigi si fossero pentiti di averlo mandato al Quirinale. Dove Renzi oggi ha bisogno, ancor più di ieri, di comprensione e copertura.


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