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Stipendi statali, tutti i dubbi di Confedir dopo la sentenza della Consulta

La quotidiana lettura della rassegna stampa ci toglie almeno 45 minuti di vita. Ma lo dobbiamo fare, per motivi legati al ruolo confederale, pro-tempore.
Ma, dopo la lettura, nascono idee e dubbi.
Gli articoli relativi alla recentissima sentenza della Consulta ci hanno fatto pensare a lungo.

La Consulta (decisione del 24/06/15) ha deciso di considerare illegittimo il prolungato blocco dei contratti pubblici – frutto di 2 distinte leggi del 2011 e del 2013 – ma (riassumiamo il concetto) “senza effetti retroattivi, a valere per i nuovi contratti della P.A.”.

I sindacati hanno esultato. Quasi tutti, perché la Confedir – da subito – ha scritto che c’era qualcosa che non quadrava, nella sentenza.
Infatti, la Consulta dovrebbe giudicare sulla legittimità o meno delle leggi e non sugli effetti economici legati a leggi incostituzionali.

In democrazia, il potere legislativo è separato da quello giudiziario e spetta alla Corte Costituzionale (attraverso vari passaggi preliminari della Magistratura) decidere se una legge – impugnata dai cittadini – sia o no coerente con la Costituzione.
Valuteremo nel dettaglio la recente decisione della Magistratura suprema, relativa al blocco/sblocco dei contratti pubblici.
Una cosa, però, ci pare fin da ora evidente. La Consulta sembra privilegiare il rispetto dell’art. 81 della Costituzione (quello sul pareggio di bilancio), impostoci dalla bieca Germania e dalla troika economica, rispetto a quelli relativi alla tutela assoluta della dignità delle persone, ossia dei cittadini, ed al rispetto dei contratti pattizi.

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo ”(art.2); “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese ”(art.3).

Potremmo proseguire, ma non ne vale la pena. E’ sotto gli occhi di tutti un dato di fatto. Pensionati e lavoratori pubblici sono stati obbligati a contribuire al “buco economico creato e mantenuto dalla politica” con un prelievo forzoso (i pensionati) e con un blocco contrattuale (i lavoratori attivi della P.A.) durato almeno 6 anni. Valore economico del tutto? 17 miliardi almeno – per i pensionati – e 12 miliardi almeno, per i secondi. 39 miliardi, chiesti solo a 2 categorie di persone, non a tutti i contribuenti, attivi o pensionati che siano.

Ma i “buchi dello Stato” non dovrebbero essere a carico di tutti, a parità di reddito?
E dove sono finiti questi denari “rubati“? Non certo nella riduzione del debito pubblico (che invece è cresciuto) ma in una vasca da bagno senza tappo. Senza tappo, perché la revisione della spesa  è rimasta sulla carta, senza effetti sul bilancio pubblico.
Questo è il primo dubbio, che ci portiamo dietro – insoluto- da anni.

Secondo dubbio. Decidere (con ritardo di anni) che una o più leggi, varate anni fa, sono incostituzionali ma che l’incostituzionalità ha effetti economici solo per il futuro, distrugge o no la certezza del diritto?

Esempio banale. Se un inquilino non paga, per anni, l’affitto al proprietario della casa, può un giudice sentenziare – in modo equo – che il suddetto dovrà pagare l’affitto solo “da domani, ma che il passato è prescritto”?
Questo è il senso della sentenza della Consulta, o no?
Non solo ma chi garantisce che questo governo voglia aprire, da subito, la trattativa per i CCNL, dato che mancano le risorse relative? Ed allora, chi garantisce che il nuovo ritardo contrattuale sia sanzionato da un giudice o non sia “assolto” perché “va rispettato l’articolo 81 della Costituzione”?

Sommessamente ricordiamo che la legge Madia di riforma della P.A. ha modificato, legificandole, numerose norme contrattuali, frutto di decennali trattative pattizie e frutto di un equilibrio tra norme contrattuali e denari posti sul tavolo. In termini più secchi, Renzi e Madia hanno già prevaricato, truccando le regole del gioco pubblico.

E chi ci garantisce che Renzi e C. (si vedano le recenti dichiarazioni) non vogliano, ora, “castrare” la parte variabile degli stipendi, legandola a presunti “nuovi sistemi di valutazione e di premialità”? Con ciò, frapponendo ostacoli e dilazionando il tutto, come se i CCNL – dal 1996 in poi – non fossero impostati su questi aspetti ?

Insomma, diciamocela tutta. Alla faccia di ciò che pensano Cassese, Rughetti, Dell’Aringa e C. , in questo Paese i diritti della persona sono ancora pienamente rispettati o sono vincolati al pareggio di bilancio, imposto dall’Europa?

I contratti pattizi (ed i CCNL pubblici lo sono), liberamente sottoscritti da sindacati e governo, possono essere tranquillamente elusi, per problemi economici, strutturali ed occasionali che siano? Se la risposta- e la prassi – è “si “, allora possiamo parlare di democrazia violata e di assenza totale di certezza del diritto e di welfare.

Ci scusiamo per la serie infinita di “?” presenti in questo articolo. Ma i dubbi e le incertezze sono troppe e troppo pesanti, nei loro effetti potenziali o certi.
Amaramente diciamo che, questo, non è più il Paese del diritto. E’ il Paese del diritto violato. Violato, ma solo nei confronti di soggetti deboli, facilmente identificabili: i pensionati e i pubblici dipendenti. Una larga parte del Paese non è toccata: quella che vive di politica e quella che riesce a truccare i conti economici.

Ma non finisce qui.

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