Gli scarsi risultati ottenuti durante i negoziati in Libia creano ormai forti perplessità anche negli Usa, dove i maggiori quotidiani iniziano a interrogarsi sulle mosse tenute finora dalla diplomazia occidentale.
È forse possibile, si chiede provocatoriamente la stampa d’Oltreoceano, che finora si sia parlato con gli interlocutori sbagliati? Il dubbio, dato quasi per certezza, è il succo di un’analisi a firma di Brian Klaas, ricercatore dell’università di Oxford, e Jason Pack, analista e presidente di Libya-analysis.com, pubblicata lunedì scorso sul New York Times.
LE RAGIONI DELL’IMPASSE
“L’impasse politica – rimarcano i due esperti – non è stata interrotta perché la diplomazia occidentale rimane concentrata su chi vogliamo avere al potere piuttosto che su chi in realtà lo gestisce”.
Si scrive diplomazia occidentale, ma si legge Bernardino Leon, la cui strategia viene considerata debole, se non proprio errata.
STRATEGIA ERRATA
“Nelle attività di law enforcement – si legge nell’op-ed – quando i negoziatori di ostaggi tentano di evitare la tragedia, parlano con chi è in possesso gli ostaggi, non con un loro lontano cugino a 500 miglia di distanza”.
Eppure, sottolineano Klaas e Pack, in Libia sta avvenendo proprio questo, con “i negoziatori occidentali” che “hanno ignorato questo approccio”.
ATTENZIONE A TRIPOLI
La Libia è ormai un Paese diviso in due, spaccato tra le città controllate dai miliziani filo-islamisti, al comando a Tripoli e Bengasi, e il Parlamento e il governo riconosciuti internazionalmente, rifugiatisi a Tobruk, e costretti ad appoggiare le milizie del generale Khalifa Haftar, per non perdere del tutto il controllo del Paese. Una situazione di per sé complessa, ma che è resa ancora più difficile dall’avanzata dei drappi neri dell’Isis, che giorno dopo giorno guadagnano posizioni, seminando terrore. Uno stato delle cose che preoccupa entrambe le parti.
L’ARMA CONTRO IL TERRORE
Ma, è la tesi dei due analisti, solo Tripoli ha reali possibilità di incidere per fermare i jihadisti e l’altra piaga che affligge il Paese e di riflesso l’Occidente, ovvero il traffico di migranti. “Entrambe queste minacce – spiegano gli autori – sono concentrati intorno a Tripoli e nella parte centro-occidentale della Libia. L’amministrazione di Tripoli, e il suo partner di coalizione a Misurata – terza città più grande del Paese – hanno la capacità di contenere gli sforzi di reclutamento dell’Isis e il suo avanzamento militare”.
L’EQUILIBRIO NECESSARIO
Se vogliono porre fine al caos, Washington e i suoi alleati, è la conclusione di Klaas e Pack, hanno “urgente bisogno di coinvolgere i blocchi di potere e i comandanti delle milizie”, perché ciò “potrebbe fare una differenza significativa nel forgiare una pace duratura”. Ciò può avvenire solo attraverso un cambiamento radicale della politica occidentale, da attuare se anche questo round di negoziati fallisse. Ma come? Dando “sia a Tobruk sia Tripoli la stessa legittimità e lo stesso riconoscimento internazionale”.