Un pezzo della storia politica nazionale è sul mercato. Quello che è stato lo studio privato dell’onorevole Aldo Moro è in vendita. Basta leggere il cartello esposto sul cancello del giardino annesso al primo piano di via Savoia A Roma, al civico 88. “Vendesi Appartamento di 230 metri quadri, 7 stanze, 7 bagni, ristrutturato”. Impresso sull’avviso il nome dell’agenzia immobiliare, il numero di telefono ed i riferimenti del sito on line. Qui Moro teneva gli incontri riservati ed anche molti dei documenti del suo archivio.
La consuetudine degli uomini della scorta, guidati dal maresciallo Oreste Leonardi, in piedi davanti il portone dello stabile, indicava la presenza dello statista impegnato al tavolo della stanza, quella che s’affacciava sulla strada e che delimitava il giardino. “Quanti abitavano qui allora e vedevano il ‘Presidente’ arrivare e ripartire –racconta Antonio, il portiere del condominio- non ci sono più. Il mio predecessore è morto da tempo. So che era una brava persona, oltre che un personaggio politico, ma lei è il primo che è venuto a chiedere di lui dopo tanto tempo. Una quindicina di anni fa, è giunto per rivedere l’appartamento uno degli autisti della 130 Fiat blu che il 16 marzo 1978 non era di turno. Poi più niente”. Antonio ricorda di aver conosciuto la moglie di Moro, Eleonora Chiavarelli, e due dei suoi quattro figli, Agnese e Giovanni, ma è chi scrive ad informarlo che “Noretta” è scomparsa a metà luglio del 2010. “Per alcuni anni – continua il portiere cinquantenne – i locali sono rimasti a disposizione dell’Accademia di studi storici Aldo Moro; poi sono stati acquistati da una confessione religiosa ed ora sono in vendita”.
Le stanze di Via Savoia sono state tante volte citate da politici e giornalisti. Il 22 novembre 1977, in quella strada tra viale Regina Margherita e via Nizza, un motociclista affiancò con un “oggetto luccicante” in mano, l’automobile di Franco Di Bella, direttore del Corriere della Sera, che si stava recando dall’onorevole Moro per un’intervista. Nell’inchiesta che ne seguì il giornalista, il suo autista ed anche un uomo della scorta dello statista, fermo davanti l’edificio, confermarono quell’evento che fece supporre ad una pistola impugnata. Molti giornali dell’epoca raccontarono l’episodio, soprattutto nei giorni successivi al 9 maggio 1978, giorno dell’assassinio del Presidente della Dc. Anche l’ultimo “colloquio” tra Moro ed un giornalista avvenne in quell’ufficio privato:era il 18 febbraio del 1978, esattamente ventotto giorni prima del rapimento di via Fani. Eugenio Scalfari, direttore della “Repubblica, incontrò Aldo Moro, per la prima volta dopo anni di polemiche intercorsi tra loro, a seguito di incomprensioni successive allo scandalo del Sifar e alle vicende del generale De Lorenzo. “Conversammo per due ore –ricorda Scalfari- e Moro mi autorizzò a prendere appunti di quanto mi diceva. ‘Le serviranno prima, o poi, ma non subito; interviste in questo momento non sono opportune’‚ disse”. Ed infatti, quell’intervista uscì postuma, il 14 ottobre del 1978, sul quotidiano romano, col titolo “L’ultimo messaggio politico”.
Nel dialogo in questione compaiono i temi che il Presidente democristiano avanzò la sera del 28 febbraio del medesimo anno ai gruppi parlamentari del suo partito: la considerazione sul ruolo del Pci, quella sui rapporti che esso aveva con la Dc e con le istituzioni; l’ipotesi sul possibile passaggio nella maggioranza che avrebbe sostenuto il quarto governo Andreotti; la riflessione sulla fase ancor più avanzata di responsabilità dirette e, dopo la fase dell’emergenza, quella dell’alternanza. Ma in via Savoia Moro ritrovava anche amici della prima e dell’ultima ora: “La nostra componente- amava ripetere- è come una casa aperta, c’è chi esce e chi entra”. Infatti, la corrente dei morotei non superò mai l’8 per cento all’interno della “Balena bianca” e, nonostante questo limite, il Presidente fino all’ultimo mantenne un’autorità morale sull’intero partito scudocrociato. Anche Francesco Cossiga, che Moro aiutò nell’ascesa politica, ebbe modo di allontanarsi dal suo mentore per poi riappacificarsi con lui proprio nello studio di via Savoia.
Cossiga ricordò più volte che nello studio privato il Presidente teneva una bottiglia di whisky scozzese “solo per l’amico Francesco”. Questi, come tanti altri episodi hanno caratterizzato la vita all’interno di quell’appartamento di via Savoia a Roma,almeno fino a metà marzo 1978, tutti riconducibili all’esistenza di un Politico ucciso dalle Brigate Rosse ad inizio maggio ed anche dagli uomini che lo hanno protetto fino a 55 giorni prima. Ecco perché fa una certa impressione quel cartello con scritto “Vendesi” che campeggia su un anonimo cancello grigio. Il 23 settembre 2016 ricorre un secolo dalla nascita di Aldo Moro. L’occasione potrebbe rappresentare un buon motivo per fare dell’ufficio privato del Presidente un vero e proprio patrimonio condiviso del Paese. Insomma, un luogo della memoria che, oltre alla Persona, moltissimi giovani non conoscono e che molti altri hanno probabilmente dimenticato.
Antonello Di Mario
Autore de “L’Attualità di Aldo Moro” (Tullio Pironti Editore)