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Perché Hollande e Valls sbagliano su immigrati e quote. Parla il prof. Darnis

Proseguono le tensioni tra Italia e Francia sul tema dell’immigrazione. Ieri il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, ha detto che i migranti che si trovano a Ventimiglia, al confine tra i due Paesi, non passeranno “e di loro deve occuparsi l’Italia”. Dichiarazioni che hanno riacceso il dibattito su un’Unione sempre più di facciata e divisa.

Cosa si nasconde dietro il rifiuto francese di sostenere una riforma europea dell’immigrazione? E come mai una linea così dura da parte di un Paese a guida socialista, come quello presieduto da François Hollande?

Ecco alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Jean-Pierre Darnis, professore associato all’Università di Nizza, analista, esperto di cose francesi e vicedirettore del Programma Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari internazionali.

Professor Darnis, la Francia chiude le frontiere agli immigrati provenienti dall’Italia, ammassati a Ventimiglia. Non è un deja-vu?

Si sta ripetendo la stessa situazione del 2011, quando si crearono pressappoco le medesime tensioni. Allora al governo in Francia c’era Nicolas Sarkozy e in Italia Silvio Berlusconi. Per certi versi era qualcosa che era lecito attendersi, visto l’elettorato dell’Ump, ma oggi è incomprensibile. Anzi, c’è addirittura un’aggravante.

Quale?

Che mentre allora si assisteva a un braccio di ferro che si risolse col rilascio di un permesso provvisorio di soggiorno da parte della Penisola, l’Italia nel frattempo si è fatta portavoce di una soluzione strutturale al problema dell’immigrazione europea. Ma il processo si è arenato.

Chi ha fermato questa riforma?

In primo luogo Germania e Francia.

Come mai una reazione? Non dovrebbe esserci maggiore intesa con Renzi visto il governo socialista di Valls?

Appartengono entrambi alla stessa famiglia europea e guidano forza progressiste. Ma non è abbastanza. Questo fatto dimostra che, alla fine, i singoli Paesi si fanno guidare più dall’interesse interno che non da logiche comunitarie. La Francia ha le sue colpe, ma anche l’Italia grida immediatamente all’invasione.

La Francia di François Hollande, però, si è detta sin da subito contraria a qualsivoglia meccanismo legato alle quote. Una posizione che poi ha rivisto. Perché?

Ci sono problemi politici e culturali nell’affrontare l’immigrazione in Francia. Alcuni si stanno provando a sanare con una riforma, contestata, della scuola, ma che va nella giusta direzione a mio avviso. Tutti temono la crescita del Front National, il partito più duro nell’affrontare questo tema. Anche l’Ump, molto forte in comuni vicini alla frontiera come Nizza o Mentone, sente questa pressione. E, a causa di questa situazione, nessuno ha il coraggio di dire la verità.

Cioè?

Che, al netto dei rifugiati, l’immigrazione è totalmente chiusa in Francia e, anzi, bisognerebbe riaprirla. Parigi è ferma agli anni ’70 in questo campo: dalla guerra d’Algeria in poi, pochissima gente è arrivata nel nostro Paese. Tutto nasce da un equivoco. Oggi chi dice che Oltralpe ci sono troppi “immigrati” in realtà sottintende “musulmani”. Solo che pare razzista dirlo, quindi si usano giri di parole.

Questo cosa comporta?

Comporta che la stragrande maggioranza dei francesi crede di vivere assediata dagli immigrati, ma in realtà sono cittadini di seconda o terza generazione, francesi a tutti gli effetti. Il problema, semmai è l’integrazione. Un problema che si acuisce anche a causa del blocco dell’immigrazione, che non crea quella sana competizione che spinge tutti a migliorarsi, integrarsi e sentirsi parte di una comunità a prescindere dalla provenienza, un po’ come avviene negli Stati Uniti e come avveniva da noi in passato.


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