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Fare affari in Montenegro? Per ora solo guai

Se tre indizi fanno una prova, allora bene hanno fatto tre società europee a rivolgersi ad un arbitrato internazionale negli Usa per far valere le proprie ragioni, dal momento che i giudici europei nicchiano. In Montenegro non si sa più se convenga o meno fare affari.

I fatti dicono che l’italiana A2A ha subìto un danno che potrebbe essere quantificabile in 500 milioni di euro, pari a quelli di altre due aziende, la cipriota Ceac e l’olandese Mnss che con il governo di Milo Djukanovic hanno avuto più di un disguido. Totale un miliardo e mezzo, cifra che è pari a un terzo del pil del Paese.
Il format pare ripetersi. Gli stranieri sono invitati lì, investono, poi cambiano le condizioni, infine c’è il rischio concreto, oltre a perdite nette, che l’azienda inizialmente acquisita e ristrutturata, venga fatta ritornare sotto il controllo dello Stato: o per tenersela o per rivenderla.

Un macabro gioco dell’oca in cui gli italiani di A2A rischiano di perdere la Epcg acquisita per un terzo nel 2009 per 436 milioni; i ciprioti di Ceac la Kap di Podgorica, la più grande impresa industriale del Montenegro, ma subito dopo l’acquisto (2007) si è scoperto che il governo ha fornito bilanci; gli olandesi Mnss, che possedevano la più grande acciaieria del paese che oggi il governo potrebbe cedere ad una società turca.
Per la cronaca il primo punto a favore è stato segnato da quest’ultima, che dinanzi ad un arbitrato internazionale a Washington ha già vinto la sua prima causa. Entro l’inizio del 2016 le altre due.

Sullo sfondo un premier, Djukanovic, per cui le procure di Bari e Napoli avevano chiesto al condanna per contrabbando internazionale di sigarette e una famiglia che secondo la stampa locale starebbe influenzando anche le privatizzazioni alla voce ICT e energia.

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