Che succede nelle Bcc? Si parla del credito cooperativo, un mosaico di oltre 370 banche per 4.441 sportelli, 37.000 addetti e 1,2 milioni di soci. Tutti, da mesi, in fibrillazione per una riforma più volte annunciata a tamburo battente ma mai attuata. Si tratta, in altre parole, di aggiornare e riorganizzare un sistema troppo complesso, fragile, fondamentale per l’economia ma eccessivamente frazionato, secondo molti addetti ai lavori e il governo. Quindi, meglio riunire le Bcc sparse sul territorio nazionale o in un’unica capogruppo o in diversi soggetti aggregatori. Uno scenario che viene seguito, anche con qualche tensione, all’interno della Banca d’Italia, come scritto di recente da Formiche.net.
IL PRESSING DEL GOVERNO
L’input alla riforma è arrivato a febbraio dal Governo, su inpulso del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Le Bcc, a differenza delle popolari, sono state, almeno per il momento “graziate” da un intervento normativo. Palazzo Chigi ha chiesto in sostanza alle banche un processo di autoriforma. Della riforma però, che dovrebbe nell’ipotesi trovare attuazione all’interno di regole fissate dallo stesso Governo, al momento non si intravvede un piano definito, se non qualche bozza circolante nelle stanze di Federcasse, la federazione delle Bcc presieduta da Alessandro Azzi.
LA BOZZA
Il disegno, come riportato da Milano Finanza pochi giorni fa, prevede una capogruppo con un capitale sociale di circa 1 miliardo di euro, partecipata perlomeno dal 35% delle Bcc, dentro cui far confluire circa 130 banche di credito cooperativo. Sono in sostanza i requisiti richiesti da Federcasse all’istituto bancario che dovrà candidarsi come holding a capo dell’intero sistema del credito cooperativo. Ma perché a oltre sei mesi dall’annuncio del Governo, siamo ancora ai nastri di partenza? Una spiegazione, secondo alcune ricostruzioni, forse c’è.
IL VERO PROBLEMA
Il tallone d’Achille del sistema cooperativo è la struttura del sistema stesso. Troppi istituti vuol dire troppe anime, quindi troppi punti di vista, il che quasi sempre si traduce in un profondo disaccordo nella base. Da una parte ci sono i supporter della holding unica che verosimilmente potrebbe essere l’Iccrea, l’unica con un capitale idoneo a sostenere l’operazione di confluenza. Idea, questa, che non piace a una delle big del credito cooperativo, la Bcc di Roma (più o meno 700 milioni di capitale) che vede nell’unico contenitore un limite evidente all’autonomia degli istituti.
IL PROGETTO E I DUBBI
Della serie, se comanda un solo soggetto, che ne sarà della nostra indipendenza? Stessa paura per il credito cooperativo impiantato al Nord Est, che oggi conta 138 istituti sugli oltre 370 totali. Insomma, una sorta di fobia da dirigismo spinto che potrebbe “snaturare il ruolo stesso delle Bcc così legate al territorio”, per dirla con le parole di Francesco Liberati, presidente della Bcc Roma, interpellato qualche tempo fa da Milano Finanza sulla questione. Altra filosofia, quella dei fautori delle molteplici holding aggregatrici, magari suddivise per aree geografiche. Un modo questo per salvare capra e cavoli, ossia riorganizzare il sistema senza tuttavia rinunciare in toto all’autonomia dei singoli istituti.
IPOTESI DECRETO?
Il nodo è tutto qui. Una base di accordo si potrebbe trovare certo ma i rischi concreti ci sono. In Federcasse gli stracci non volano ancora, ma il rischio di un flop della proposta della federazione c’è tutto, dicono alcune indiscrezioni. E poi c’è l’aspetto politico. Se l’autoriforma non dovesse vedere la luce perché priva del necessario consenso interno, come interverrebbe il Governo? Forzare la mano con un decreto dal sapore di un diktat potrebbe essere una strada, ma a quel punto come la mettiamo con i rapporti banche-esecutivo? Sarebbe un colpo di mano per le Bcc, la cui riforma verrebbe di fatto bypassata. D’altronde – si dice in ambienti governativi – il decreto che ha previsto la trasformazione delle maggiori Popolari in società per azioni ha avuto alla fine il sì di quasi tutti i diretti interessati, anche se alcuni a parole lo contestavano.
L’IDEA DI MENDOLI
Le opinioni per il momento non mancano. L’ultima in ordine di tempo è quella del dg della Banca di Bologna, Enzo Mendoli, che ieri ha ipotizzato una sorta di soluzione salomonica, con una riforma in grado di soddisfare le esigenze delle due anime del credito cooperativo. In pratica una riforma la quale istituisca il modello di holding, ma solo su base volontaria da entrambe le parti: vale adire che “l’obbligatorietà potrebbe forse essere prevista per chi vuole mantenere la forma di banca di credito cooperativo, consentendo alle banche che non vogliono aderire di trasformarsi, nel rispetto di quanto costituzionalmente previsto riguardo alla libertà di iniziativa economica privata”.