Adesso che è stato approvato, il ddl Buona Scuola va spiegato per filo e per segno almeno a quei militanti del Pd che si sono visti una quarantina di loro deputati rifiutarsi di votare una delle più importanti riforme del governo guidato dal segretario di partito. Il cocktail di proteste sindacali, campagne di stampa di segno contrario e fuoco dell’opposizione spalmata lungo tutto l’arco parlamentare ha fatto passare semplificazioni spesso distorsive e lontane dai contenuti del provvedimento. Matteo Renzi lo sa bene, è anche consapevole di avere commesso diversi errori nella strategia comunicativa sulla Buona Scuola.
LA PROF MILANESE PALADINA DELLA BUONA SCUOLA
Per questo il premier ha lanciato l’opera di contro-informazione sul ddl Buona Scuola. Tra i parlamentari incaricati di diffondere il verbo renziano su questa novità legislativa c’è la deputata Simona Malpezzi, 42 anni da Pioltello di Milano, il cui intervento di giovedì scorso alla Camera in cui assicura che ci saranno i soldi della carta igienica ha spopolato sul web. E’ proprio questa insegnante di lettere, fino a qualche anno fa impegnata pure nelle rappresentanze sindacali del suo istituto, una delle sostenitrici più agguerrite della Buona Scuola, convinta com’è che “l’opposizione dentro e fuori il Pd non aveva come obiettivo questo provvedimento, ma rallentare il governo Renzi e le sue riforme”.
LA LEZIONE SUI PREGI DEL DDL
Malpezzi sta girando le Feste de l’Unità di mezza Italia per spiegare i pregi del provvedimento. Sabato scorso, ad esempio, era a Faenza, in Romagna, dove le è toccato specificare addirittura il titolo, dato che “non stiamo parlando di riforma del sistema dell’istruzione, come spesso si dice, ma di un assestamento di sistema”. In sostanza, la vera riforma è stata quella dell’ex ministro Luigi Berlinguer alla quale però va data piena applicazione. E lo si fa, incalza la Malpezzi dal palco davanti a decine di militanti, a partire dai 4 miliardi stanziati dal governo, la flessibilità dei curricula, la chiusura delle graduatorie e il ritorno a concorsi regolari, fino alle nuove modalità per diventare insegnante con la formazione pagata dallo Stato, novità quest’ultima che sarà inserita nella legge delega.
QUALCHE FALSITA’ DA SBUGIARDARE
E con il presunto preside-sceriffo come la mettiamo? “Non abbiamo aumentato nemmeno una prerogativa al dirigente scolastico, certi messaggi sono solo frutto della cattiva informazione” incalza la pasionaria del Pd renziano. “Noi – continua – abbiamo soltanto messo in condizione il preside di fare il leader educativo, dato che oggi si deve occupare esclusivamente di plichi di carte e non interviene sulla macchina della scuola”. Inoltre, “non c’è nessuna chiamata diretta degli insegnanti e il dirigente li potrà selezionare da un elenco di persone già assunte di ruolo solo sul mandato del consiglio di istituto”.
Peccato che il messaggio passato sia quello di un semi-onnipotente capo azienda. Un po’ come sul fronte della valutazione; tra il pubblico c’è infatti chi è convinto che saranno gli studenti a dover dare i voti ai loro insegnanti, “siamo agli animali che giudicano i veterinari” sbotta un militante. “C’è stata cattiva informazione e la responsabilità è anche nostra – ammette la Malpezzi -. Nel ddl Buona Scuola non c’è nemmeno una riga sulla valutazione degli insegnanti, e questo a me dispiace; abbiamo tolto questa parte dopo le proteste dell’autunno scorso”. Gli unici a venire valutati saranno i tanto criticati presidi, “ma con i canoni del 2001”, mentre gli ispettori passano da 11 a 50. “Pensate che in Francia sono 7.980 e si lamentano di averne pochi”. Detto ciò, la deputata ci tiene a ribadire un principio: “Un docente bravo vuole essere valutato per migliorare la propria professionalità. E un valutatore che pensa di non poter essere valutato, secondo me qualche problema ce l’ha”.
LA BUFALA SULLE SCUOLE PARITARIE
L’opera di disinformazione ha fatto un’altra volta breccia sul fronte delle scuole paritarie. Lo esemplifica bene un intervento della platea: “E’ vero che date i soldi alle scuole private? Perché?” chiede un ragazzo vittima, suo malgrado, della solita vulgata mediatica. “Innanzitutto si chiamano scuole paritarie e non private. Con la legge del 2001 lo Stato riconosce un sistema pubblico che eroga l’offerta formativa attraverso istituti statali e istituti paritari accreditati che possono anche essere gestiti da privati” spiega la prof deputata. “Il ddl Buona Scuola – continua – purtroppo non dà finanziamenti alle paritarie. Lo Stato dovrebbe infatti consentire a entrambe le scuole di sopravvivere, altrimenti le paritarie diventano ghetti accessibili solo per chi ha soldi, ma i genitori così non hanno una reale libertà di scelta sull’educazione dei propri figli”. L’unico aiuto che viene concesso alle paritarie con questo provvedimento sono “gli sgravi fiscali sulle rette. Una famiglia che spende 4mila euro all’anno arriva a risparmiarne al massimo 76 euro. Anche qui, quindi, si è fatto molto rumore per nulla e siamo ben lontani da quel che chiede l’Ue”.