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Che succede a Renzi e al renzismo?

Non sono giorni particolarmente entusiasmanti per Matteo Renzi. Tensioni nel Pd, fibrillazioni parlamentari e rogne su Roma e in Sicilia si stanno affastellando con sommo dispiacere per il premier.

A Renzi non manca di certo l’ottimismo della volontà e le sue enews testimoniano gli sforzi del governo su vari fronti. Ma le ultime vicende offuscano mediaticamente le buone azioni del governo.

Poco fa in Senato è passato un emendamento delle opposizioni sulla riforma Rai che sottrae al governo le competenze sul canone. Un inciampo non troppo grave, ma indicativo di uno stato non troppo saldo della maggioranza, a partire anche dal Pd. Visto che con le opposizioni, a intralciare il percorso renziano, ha votato anche la sinistra dem.

D’altronde il caso Azzollini ne è una testimonianza. La libertà di voto lasciata dal Pd ai propri senatori e la richiesta di arresto per il senatore di Ncd respinta da Palazzo Madama ha suscitato le critiche del vicesegretario Debora Serracchiani, rimbrottata invece dall’altro vice Lorenzo Guerini, evidentemente su questo tema più in sintonia con il segretario rispetto a una tentazione manettara sempre presente nel Pd, come ha ricostruito su Formiche.net il notista politico Francesco Damato.

Le tribolazioni specie di immagine del premier hanno origine in questi ultimi giorni soprattutto nella capitale. Dove, nonostante la narrazione renziana improntata una sorta di atarrassia verso le sorti del sindaco e dell’assetto di giunta capitolina, i fatti dimostrano come sia nato una specie di monocolore voluto da Renzi e Ignazio Marino. A dispetto delle parole messe per iscritto sul Messaggero in una lettera dallo stesso Renzi che diceva di non voler partecipare a rimpasti di giunta.

La rottamazione ha ricevuto un altro implicito stop dalla richiesta avanzata dal ministero dell’Economia, e dunque anche da Palazzo Chigi, alla commissione di Vigilanza sulla Rai. Commissione invitata a nominare i componenti del cda dell’azienda di viale Mazzini che è scaduto sulla base della tanto vituperata legge Gasparri. Una decisione, quella del governo, salutata con beffarda soddisfazione dall’ex ministro Maurizio Gasparri.

Così come fanno già discutere i palazzi romani le parole pronunciate oggi, giovedì 30 luglio, da Sergio Mattarella. «Nessuno, tantomeno il presidente della Repubblica, è un uomo solo al comando nel nostro Paese», ha detto il presidente della Repubblica nel corso della Cerimonia del Ventaglio, il tradizionale saluto della stampa parlamentare. «Non è possibile in democrazia», ha continuato poi il presidente: «Mi auguro che il percorso delle riforme vada in porto dopo decenni di tentativi non riusciti, ma non entro nel merito delle scelte che appartengono solo al Parlamento».

Un cordiale, e istituzionale, buffetto al premier?


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