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Cosa deve fare l’Europa dopo il voto in Grecia

Il paradosso di questo referendum è stato che non fosse ben chiaro su cosa si stesse veramente votando. Esso rimaneva nella forma – e la forma è sostanza come diceva Aristotele, ancor di più in un Continente in cui tante sfide si sono giudicate spesso sul filo di discutibili argomentazioni giuridiche – un referendum sull’austerità, senza implicazione alcuna per l’abbandono dell’area euro.

E’ un punto importante perché sottintende un’idea in cui hanno sempre creduto sia il Governo Tsipras che il sottoscritto: l’idea che si possa vivere bene tutti insieme all’interno di un’area valutaria comune come quella dell’euro, purché vi siano politiche fiscali non austere durante i momenti di difficoltà e che sia invece impossibile restare nell’euro con l’austerità quando un’economia è colpita da difficoltà cicliche, a meno di un diktat esterno di cui si tollerino le sue conseguenze più nefaste, di alta disoccupazione e crollo della produzione.

Intanto portiamo a casa questo primo significativo risultato: la sconfitta del SI’ è un sonoro NO alla delega di democrazia al di fuori dei confini nazionali. Un risultato importante perché tiene in piedi l’Europa. Ora non si potrà più dire che là dove soffre il popolo non si può chiedere, in Europa, che si arresti il dolore. Immaginate la forza dirompente che avrebbe avuto per la retorica dei partiti populisti e antieuropei la conferma, tramite la vittoria dei SI’, che l’Europa impone il suo volere dall’esterno e dall’alto. La presenza un po’ assurda di Grillo ad Atene, in questo senso, equivale al posizionamento dei due Nobel Krugman e Stiglitz: volevano tutti e tre la vittoria del NO per uscire dall’euro, ma non è quello che vogliono i greci esprimendosi per il NO. Anche Grillo e la Lega ne escono sconfitti.

I greci adesso passano la palla. Agli altri 18 paesi.

Si svolgerà ora rapidamente, forse già nei prossimi giorni, il secondo referendum, che avrà due domande in una: se espellere o meno la Grecia dall’euro e se vivere in un’altra Europa o meno.

Attendiamo per sapere il risultato di questo secondo referendum le dinamiche che si scateneranno all’interno del gruppo degli altri leader europei. Se l’Europa “tedesca” (e la BCE che la segue) decidessero di accedere finalmente alle richieste greche, abbandonando l’austerità, sapremmo di aver assistito a un referendum sulla natura dell’Europa, solidale come chiedevano i suoi padri fondatori. In questa poco probabile evenienza, l’Europa si troverebbe a dovere nuovamente alla Grecia una buona parte della propria ragione di esistere, ritrovando energia e coesione sociale, che sono al centro di ogni progetto di unione di successo. Partirà il contagio della solidarietà: unico collante che alla lunga permette di rimanere insieme, come mostra la storia degli Stati Uniti.

Ovviamente c’è un altro possibile futuro che ci aspetta con Germania e BCE che mantengono la loro posizione intransigente. A quel punto effettivamente il referendum europeo decreterà l’uscita di Atene dalla moneta comune. Le cicatrici permarranno per sempre sulla fragile Europa: verrà sancita la fine dell’unione monetaria e la nascita di un accordo di cambi fissi tra paesi europei (il sogno perverso di qualsiasi speculatore, come la crisi del 1992 in Italia ha ben dimostrato) è la conseguenza più probabile. Vedremo crescere populismi e richieste di maggiore sovranità nazionale ovunque a cui sarà difficile resistere. Sarà la fine dell’Europa, in pochi anni.

Per capirlo, basta essere consci che il referendum non sarà solo una cacciata della Grecia dall’euro, ma dall’Unione europea. Formalmente non è corretto quanto affermiamo: la Grecia, anche fuori dall’euro, rimarrebbe nell’Unione europea, come il Regno Unito (per quanto?) o tanti Paesi scandinavi e dell’Europa dell’Est. Ma vi rimarrebbe in una posizione diversa da questi ultimi: da paese espulso, non da paese che ha inizialmente esercitato la sua volontà democratica di non entrare nell’euro. Una differenza sostanziale che farà sentire i cittadini greci umiliati e non graditi, e dunque li spingerà a guardarsi intorno, non solo in termini di nuove e diverse politiche economiche ma anche di politica estera e di struttura della propria società. Non è fantascienza: la Turchia democratica e laica a cui solo 10 anni fa rifiutammo l’ingresso nell’Unione europea (malgrado la posizione favorevole dell’Italia), umiliata, decise di guadare altrove ed è rapidamente divenuta una società ben meno secolare e più orientata verso l’Islam di allora. Perdere la Grecia nell’euro significa dunque rischiare di perdere la Grecia in Europa, avvicinarla ad altre aree geopolitiche come quella russa con la quale condivide, tra l’altro, una maggiore vicinanza di credo religioso.

Un’ultima cosa: spero che questo disastroso esito, questo fallimento europeo di votare per un’altra Europa dell’euro non si realizzi, ma se succede – per favore – non diamo la colpa all’euro. La valuta unica sarà stata solo questo: un simbolo, un mero simbolo, di volere rimanere insieme per un progetto di lungo periodo, come un anello in un matrimonio. Se il matrimonio non si regge in piedi, non colpevolizzate l’anello, ma la mancanza di un progetto volto a costruire un percorso comune fatto di solidarietà reciproca e sviluppo sostenibile. E se l’anello si sfila, non aspettatevi nemmeno che i due divorziati continuino a vivere assieme come prima del matrimonio.



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