Da molti mesi la Russia è in forte difficoltà. Il prezzo del petrolio, estremamente basso, si combina infatti alle gravi sanzioni economiche per la crisi ucraina. Forse anche per ovviare a ciò, secondo alcuni analisti, Mosca sembra soffrire di quella che in Italia definiremmo “annuncite”, in particolare riguardo nuovi progetti per l’esportazione del gas (il prezzo del petrolio condiziona anche quello dell’oro blu).
Alcuni esempi sono il memorandum of understanding per Nord Stream II (Mar Baltico), e Turkish Stream, il cui senso è – in entrambi i casi – trovare uno sbocco alternativo a quel 40-50 % del flusso di gas che dalla Russia giunge in Europa attraverso l’Ucraina. Gli accordi con quest’ultima scadranno nel giro di poco tempo (dopo il 2019) e la continuazione del transito non è certa.
Vi sono poi i supposti accordi con la Cina. Insomma: la situazione finanziaria della Russia continua a peggiorare, il Pil scende, i ricavi energetici diminuiscono eppure si continua a parlare tranquillamente di progetti che totalizzano dai 150 ai 200 milioni di dollari. Per molti osservatori si tratta di disinformazione anche perché, negli ultimi mesi, per ciò che riguarda queste iniziative si è assistito solo a procrastinazioni e cancellazioni.
Edward C. Chow, senior fellow dell’energy e national security program del Csis, ha provato a mettere ordine in questa lista di progetti seguendo il principio “dal meno fattibile al più realistico” alla luce di parametri economici e commerciali più che di desiderabilità politica e geopolitica.
Ciò che incide maggiormente è che non ci si trova più ai tempi del barile sopra i cento dollari. Chow spiega che, anche se la Russia (per via della sua organizzazione politica e per la presenza di campioni nazionali del gas e del petrolio), riesce a proiettare un’immagine di nazione con una capacità decisionale, ciò serve a poco dinanzi a vincoli di bilancio come quelli attuali.
Tuttavia non pochi esperti rilevano che l’Europa, per il momento, non può fare a meno del gas russo. E la Russia stessa comprende che – con l’attuale situazione finanziaria e il corso dell’energia – bisogna tenersi stretto il Vecchio Continente: sempre Chow rimarca infatti che gli effetti degli accordi sino-russi si vedranno semmai per fine decennio.