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Tutti i conti delle concessionarie di pubblicità (senza Google)

Fcp-Assointernet (l’area web della Federazione Concessionarie Pubblicità) ha diffuso i dati di fatturato del settore per il mese di maggio. I dati segnano un -0,6% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Lieve contrazione accolta con moderata soddisfazione da Giorgio Galantis, presidente Fcp-Assointernet, che dichiara: “Ad aprile 2015 l’Osservatorio FCP-Assointernet rileva una flessione degli investimenti relativamente al perimetro monitorato, dopo il dato positivo di marzo. L’andamento discontinuo di questa prima parte dell’anno è correlato ad indicatori macroeconomici che non hanno ancora mostrato una solida inversione di tendenza, in un mese storicamente un po’ particolare per gli investimenti pubblicitari”.

Interessanti, comunque, alcuni parziali che contribuiscono a comporre il dato complessivo. Quello che viene definito da Fcp-Assointernet “web” – inteso come navigazione da browser su qualsiasi tipo di dispositivo – scende di un -1,7%; il mobile – via app e messaggistica – cresce del 14%; smart tv e console (ad esempio inserzioni nei videogame) 4,1%.

Attenzione: Galantis, infatti, ricorda che questi dati si riferiscono al “perimetro monitorato”. Che significa? Che, come dichiara il foglio Excel con cui viene diffusa la rilevazione, “I valori rappresentano i fatturati pubblicitari delle aziende che dichiarano i propri dati all’Osservatorio FCP Assointernet”. E che “sono esclusi dalla presente Tavola i dati relativi alla Keywords/Search adv”. Alla Federazione, infatti, non aderisce Google.

Google Italia, come ricordato dal corriere.it il 24 aprile, agisce da broker pubblicitario e paga tasse solo sulle provvigioni. Ma i contratti vengono stipulati dalla sede irlandese. Sfugge, così, alla rilevazione, oltre che al fisco, il valore del fatturato pubblicitario raccolto da Mountain View nel nostro Paese. Intanto, sempre il 24 aprile, Google ha dichiarato il fatturato globale di tutte le sue attività per il primo trimestre dell’anno: 17,3 miliardi dollari, +12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; utile netto 3.58 miliardi di dollari, anche questo in crescita del 4%.

Così come non è rilevato il fatturato pubblicitario dei grandi social network. Ma per farsi un’idea – dati aggiornati a luglio 2014 dall’Osservatorio Facebook di Vincos.it – a quella data, oltre 23 milioni di italiani visitavano almeno una volta al mese Facebook (28 milioni gli iscritti a gennaio 2015). Oltre 9 milioni i visitatori di Twitter; 5 milioni e mezzo quelli di Linkedin. Ora, ognuno dei network citati pubblica advertising. Pubblicità che non passa per l’intermediazione delle concessionarie ma viene pianificata su quei network direttamente da imprese, organizzazioni, perfino individui. Clienti che possono godere degli strumenti messi a disposizione dai network per pianificare, progettare, realizzare le proprie inserzioni e – attraverso metriche disponibili in tempo reale – analizzarne i risultati e modificare in corsa l’approccio così come il budget investito, anche su base giornaliera.

Si può selezionare il target in base a vari parametri (socio-demografici, geografici e così via), e lincare all’inserzione il proprio account sul network stesso, siti web, blog aziendali e di prodotto. Profonda anche la penetrazione del sistema basato sulle parole chiave di Google e la targettizzazione delle inserzioni in base alle ricerche effettuate dall’utente. Siamo, insomma, alla disintermediazione totale del marketing.

Su Formiche.net si è già parlato di questo e di come si sia rotta l’integrazione verticale del prodotto editoriale. Rottura che, naturalmente, come vediamo nella rilevazione Fcp-Assointernet, investe anche il settore del brocheraggio pubblicitario. Ed è stato descritto come il sistema-editoria fatichi a rapportarsi (intediamoci, non solo in Italia dove però questa fatica appare consistente) con la realtà circostante dell’evoluzione commerciale della rete.

Difficile non farci caso. Aprendo i website di molte testate d’informazione, l’advertising si presenta in una forma invasiva che ostacola la lettura (perlomeno da browser su computer) con spot che irrompono sullo schermo (chi non cerca compulsivamente il pulsante di chiusura?). La visione di un video è inesorabilmente preceduta da un commercial (ma siamo sul web, non davanti alla tv e chi ha il tempo di sostenere l’interruzione pubblicitaria?) che non sempre dà la facoltà di effettuare lo skip (saltare alla visione del contenuto desiderato) dopo cinque secondi come accade su YouTube, network che fa parte, a sua volta, del circuito Google. Insomma, siamo ben lontani dalla seduzione del dialogo che avvince, oggi, gli utenti della Rete grazie all’incrocio dei loro interessi  con l’offerta commerciale. Una visione che nel settore editoriale italiano deve fare ancora molta strada.

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