Nella spietata denuncia, fatta su ItaliaOggi dal direttore Pierluigi Magnaschi, del ruolo sostanzialmente irrilevante dell’Italia di Matteo Renzi nell’Unione Europea, dove il presidente del Consiglio si era invece proposto di farsi sentire e valere profittando anche della presidenza di turno gestita nel secondo semestre dell’anno scorso, poco dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi, c’è anche il giusto rammarico per la mancata conferma della radicale Emma Bonino al Ministero degli Esteri. Al cui posto Renzi, succedendo con rapida e arcinota disinvoltura ad Enrico Letta, volle mettere Federica Mogherini per poterla poi candidare e portare alla carica tanto declamata quanto inconsistente di alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Già effimero di suo perché alla politica estera e di sicurezza i vari Paesi dell’Unione provvedono gelosamente e ostinatamente per conto loro, refrattari a cedere la propria sovranità, il ruolo affidato alla Mogherini ha sofferto e soffre anche della scarsa esperienza governativa dell’interessata. Che non può essere considerata una colpa, naturalmente, ma neppure una virtù per la ex assistente di Walter Veltroni al Campidoglio, occupatasi di problemi e relazioni internazionali solo come funzionaria di partito, approdata in Parlamento nel 2008.
Proprio perché inconsistente di suo, quel ruolo nell’Unione Europea avrebbe avuto bisogno di essere affidato ad una personalità più navigata, più nota, capace di supplire con la propria esperienza e con il proprio prestigio ai limiti di una carica più simbolica che effettiva. La Bonino, come mostra di ritenere Magnaschi, sarebbe sicuramente stata a questo fine molto più indicata, anche per l’esperienza e i rapporti internazionali accumulati come commissaria proprio dell’Unione Europea dal 1995 al 1999. Si può ben dire di lei che è, fra le politiche italiane, la più nota e popolare nel mondo. Ad accrescerne il prestigio e a procurarle un’ancora più sentita solidarietà ha contribuito ultimamente anche l’ammirevole forza con la quale ha affrontato, e superato, la sua battaglia contro il cancro, con un’eco internazionale che ha dato la misura della considerazione di cui gode anche fuori d’Italia.
La rimozione della Bonino dal Ministero degli Esteri e dal governo fu un grave errore di Renzi, compiuto per una serie di ragioni una meno comprensibile o condivisibile dell’altra. Un errore anche di stile, avendo l’interessata appreso della sua sostituzione dalle anticipazioni di stampa.
Arrivato a Palazzo Chigi per rappresentare un modo nuovo di fare politica, la prima cosa che Renzi sentì curiosamente il bisogno di fare fu di restituire al suo partito la casella della Farnesina, mandandovi peraltro una persona che non gli potesse fare minimamente ombra, avendo lui vocazioni protagonistiche anche in politica estera.
Non meno grave dell’immeritato torto personale alla Bonino fu il torto politico compiuto da Renzi nei riguardi del Partito Radicale. Di cui non era proprio opportuno abolire la presenza al governo nel momento, fra l’altro, dell’assalto del movimento di Beppe Grillo alla politica sul terreno della moralizzazione. Un terreno sul quale il piccolo ma ormai storico partito di Marco Pannella ed Emma Bonino, appunto, si è mosso e si è battuto ben prima, e ben più seriamente e concretamente di Grillo. Un terreno sul quale i radicali si sono giustamente guadagnati il rispetto anche di chi non ha condiviso altre loro battaglie: dal divorzio all’aborto, dalle droghe all’eutanasia. Un terreno, quello dei cosiddetti diritti civili, sul quale peraltro Renzi aspira a muoversi in modo non convenzionale rispetto alle origini democristiane sue e di una parte crescente del suo partito, nato dalla fusione fra la sinistra scudocrociata e gli ex o post-comunisti.