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Il deal sul nucleare iraniano sembra allo sprint finale (sembra)

Perugia ─ I media russi riportano che l’accordo sul nucleare iraniano potrebbe essere annunciato nella nottata ─ «Tra poche ore» avrebbe detto il vice ministro degli Esteri di Mosca Sergei Riabkov ad Interfax. I russi fanno parte del cosiddetto “5+1”, cioè l’insieme dei Paesi che a Vienna stanno trattando con l’Iran il ridimensionamento del programma nucleare di Teheran (e lo stop alla parte militare) ─ gli altri sono Stati Uniti, Cina, Francia e Regno Unito, che con la Russia sono i cinque che compongono il Consiglio di sicurezza dell’Onu, a cui si aggiunge il “+1” la Germania.

Invece la CNN avrebbe avuto modo di parlare con un senatore americano appartenente al partito democratico, quello del presidente, che avrebbe rivelato sensazioni dalla Casa Bianca molto diverse da quelle russe. Durante un incontro a porte chiuse, a cui quel senatore ha partecipato, Barack Obama si sarebbe detto piuttosto scettico, definendo le possibilità di chiusura del deal sotto al 50 per cento.

Il momento è molto delicato, perché se non si raggiunge un’intesa entro la mezzanotte di venerdì (ora di Washington, GMT 05:00 di venerdì), il tempo consentito al Congresso americano per la revisione dell’accordo si allungherà a sessanta giorni, contro i trenta previsti prima della scadenza. Il problema è legato alle sanzioni statunitensi, che resteranno in essere durante tutto il periodo di revisione congressuale, allungando i tempi davanti alla pressione di Teheran, che spinge invece perché vengano sollevate immediatamente ─ se il Congresso dovesse respingere l’accordo, il presidente può porre il veto, che però può essere ancora ribaltato dal Congresso: e il rischio è che l’allungamento dei tempi di revisione, possa permettere anche più ampi e trasversali accordi congressuali ai repubblicani (infatti pure tra i democratici ci sarebbe chi storce il naso al deal).

Le sanzioni sono uno di punti critici: l’altro riguarda le ispezioni internazionali e il modo con cui verrà verificato il rispetto degli accordi ─ gli iraniani non sono per il momento molto aperti a concedere ispezioni continuative sul proprio suolo.

Contemporaneamente al tavolo nucleare di Vienna, si sta svolgendo a Ufa (città della Russia sudorientale) l’incontro dei BRICS ─ l’acronimo è ormai convenzionalmente usato per rivolgersi a Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, cinque Paesi dalle economie emergenti. Dal vertice di Ufa, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha chiesto l’immediato sollevamento dell’embargo sulle armi all’Iran ─ la Russia è un alleato e partner diplomatico dell’Iran. «L’Iran è un sostenitore coerente della lotta contro l’ISIS e la revoca dell’embargo sulle armi potrebbe aiutare l’Iran a migliorare la sua efficienza nella lotta al terrorismo», ha detto Lavrov.

Il ruolo iraniano è effettivamente centrale nel sostegno dell’esercito iracheno contro il Califfato. Advisor militari appartenenti alle unità scelte dei Pasdaran danno consulenza tattica all’ISF (Iraqi Security Force) e la teocrazia di Teheran ha mosso in armi contro l’IS le potenti milizie sciite iracheno, su cui esercita completa influenza. L’appoggio coerente di cui parla Lavrov, ha però un valore relativo: perché se dal lato iracheno del fronte la Repubblica Islamica combatte a fianco dell’Iraq e della Coalizione internazionale, da quello siriano, pur schierandosi sempre contro l’assolutismo sunnita del Califfo, sostiene il regime di Assad ─ che in linea di massima è un nemico dell’Occidente.

Ambiguità e dualismo piuttosto pericolosi, anche perché molte di quelle milizie sciite che ora combattono in Iraq sotto dettatura iraniana, condividendo un nemico comune con gli occidentali, ai tempi dell’invasione americana di dodici anni fa, sono state ─ sempre sotto dettatura iraniana ─ protagoniste di spietati attacchi contro il contingente statunitense. All’epoca venivano chiamati “gruppi speciali”, ora si fanno chiamare sotto la stessa siglia, Hashd al-Shaabi, “mobilitazione popolare”. Ma per capirci molti sono gli stessi che, quando Obama minacciò di bombardare il regime di Damasco, responsabile del massacro chimico alla periferia della capitale, annunciarono attentati contro l’America per rappresaglia.

Adesso una di queste, la Badr Organization (partito/milizia braccio iracheno del partito sciita iraniano), posta foto sui social network mentre i suoi uomini sono alla guida di carri armati Abrams. Quelli che l’America ha fornito all’Iraq per il proprio esercito, e che adesso Baghdad sta facendo guidare a questi miliziani settari sciiti ─ probabilmente sempre sotto dettatura di Teheran.

(Inutile provare a dargli un qualche senso, non c’è nessun genere di nemesi o di morale: questo è un vero “casino”, in cui si mischiano agende e interessi, schieramenti e alleanze.

@danemblog

 

 

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