L’inasprimento della conflittualità nell’area dei servizi pubblici essenziali, alla luce dei disagi
provocati dai più recenti scioperi e disservizi che hanno investito, in particolare, il settore dei trasporti, ha riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico l’esigenza di una regolazione più incisiva, ai fini della tutela dei diritti costituzionali degli utenti.
Si avverte quotidianamente la crescente preoccupazione per le criticità e le derive che caratterizzano il conflitto. Con un’immagine efficace, Marco Olivetti, su “l’Avvenire” del 10 luglio 2015, rilevava che “neppure la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero possono diventare la tomba della convivenza civile”, interpretando uno stato d’animo assai diffuso in questi giorni.
E’ ampiamente condivisa la sensazione che le norme vigenti – in particolare la legge 146/90, come novellata con legge 83/2000 – si rivelino ormai inadeguate a fronteggiare i rischi incombenti, collegati all’estrema concorrenzialità tra le sigle sindacali e alla loro proliferazione, così come agli scioperi spontanei e agli “scioperi bianchi”, rispetto ai quali, a legislazione vigente, il Garante non dispone degli strumenti adeguati di prevenzione, di contrasto o di dissuasione.
Le dinamiche tradizionali del conflitto nei servizi pubblici hanno registrato sensibili trasformazioni a seguito dei processi di globalizzazione e di liberalizzazione. In particolare, nel nostro paese, in una fase di stagnazione economica e di tendenziale recessione come quella registratasi negli ultimi anni, si sono verificate sensibili contrazioni degli stanziamenti pubblici e conseguenti criticità per i bilanci delle aziende che erogano i servizi. Le ricadute sulla qualità delle prestazioni rese agli utenti e sulle condizioni dei lavoratori, sovente esposti a lunghi ritardi nell’erogazione delle retribuzioni e talora anche al rischio della perdita del posto di lavoro, sono all’origine dell’evidente inasprimento ed incremento della conflittualità.
Si è posto, negli ultimi anni, con crescente insistenza, il tema della rappresentatività delle
organizzazioni sindacali, ai fini di “misurare” il grado di consenso che investe gli atti compiuti dalle singole sigle, tanto sotto il profilo contrattuale, quanto relativamente allo sciopero. Con il Testo Unico del 10 gennaio 2014 sulla rappresentanza sindacale, siglato da Confindustria e da Cgil, Cisl e Uil, si è introdotta una più aggiornata regolamentazione della rappresentanza sindacale, ai fini della partecipazione ai processi di contrattazione collettiva.
E’ stata ormai avviata una riflessione, con riferimento ai servizi pubblici essenziali, sull’eventuale “misurazione” della rappresentatività delle organizzazioni sindacali anche ai fini della proclamazione dello sciopero. Se è pur vero, infatti, che il diritto di sciopero in capo al singolo lavoratore deve essere salvaguardato, a prescindere dalle scelte delle organizzazioni sindacali o dell’appartenenza alle stesse, è tuttavia necessario considerare la peculiare tipologia di astensione dal lavoro regolata dalla legge 146/90, cioè lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Questa incide, infatti, sull’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti e per questa ragione è stata sottoposta dal legislatore ad un’organica e articolata disciplina tesa a bilanciare il diritto di sciopero con quello dei cittadini a fruire dei servizi essenziali.
Ammessa dunque la facoltà del legislatore ordinario di vincolare l’esercizio del diritto di sciopero, in questo particolare e delicato settore, al rispetto di ben precise regole e condizioni, si ritiene da più parti che, anche ai fini della proclamazione dello sciopero stesso, si possa stabilire una soglia di rappresentatività che evidenzi la rilevanza dell’interesse all’iniziativa di protesta.
Ciò consentirebbe di scoraggiare eventuali azioni meramente strumentali all’acquisizione di ruoli rilevanti da parte di sindacati di esigua rappresentatività, non collegate a tematiche socialmente significative, bensì tendenti principalmente ad alimentare la concorrenzialità con le organizzazioni maggiori, utilizzando magari il “paletto” della rarefazione per interferire sui tempi delle astensioni programmate da quelle stesse sigle.
Con gravi conseguenze sui diritti dell’utenza, a causa della frequenza delle astensioni e della loro potenziale raccolta di adesioni, considerando che anche lo sciopero proclamato da un sindacato di scarsissima rappresentatività può rivelarsi in grado di bloccare in larga misura il servizio nel bacino interessato.
Si è sviluppato dunque un intenso dibattito sull’individuazione di condizioni minime di rappresentatività delle sigle sindacali proclamanti, ricorrendo ai parametri di cui al Testo Unico del 2014, oppure – meglio ancora – all’istituto del referendum tra i lavoratori del bacino interessato, prevedendo una soglia minima di consenso, quale condizione per l’ammissibilità della proclamazione dello sciopero, limitatamente all’area dei servizi pubblici essenziali.
Sarebbe altresì utile a favorire la limitazione del disagio provocato dallo sciopero, la previsione della preventiva adesione del singolo lavoratore allo sciopero, fissando un termine congruo per la stessa, idoneo a consentire all’azienda un’organizzazione dei turni in grado di limitare ulteriormente il disservizio per l’utenza.
Ma più che nelle misure che regolano modalità di proclamazione e di svolgimento dello sciopero, forse la chiave per una più efficace e tempestiva tutela degli utenti può ravvisarsi nel rafforzamento del ruolo della Commissione di Garanzia dello sciopero nei servizi pubblici, con particolare riferimento ai poteri preventivi di intervento e di composizione. La più inquietante conflittualità della presente congiuntura, l’estrema frammentazione delle sigle, l’indisciplina che si ravvisa in taluni settori e, talvolta, la carenza di consapevolezza e di responsabilizzazione nei comportamenti di stazioni appaltanti e soggetti appaltatori, richiedono ora un passo in avanti, nel senso di una ulteriore evoluzione degli strumenti normativi che pure furono predisposti dalla legge vigente per consentire all’Autorità di Garanzia di affiancare le parti nella ricerca di soluzioni idonee a scongiurare il ricorso allo sciopero o di affrontare la menzionata questione della responsabilità delle stazioni appaltanti. Mi riferisco, in particolare, alle norme orientate in questo senso, contenute nell’art. 13 della legge 146/90, rispetto alle quali la Commissione di Garanzia ha adottato, agli inizi dell’anno in corso, due delibere che estendono i poteri di intervento della Commissione ai fini di “raffreddamento” del conflitto.
Particolare attenzione è stata dedicata, al riguardo, al tema della responsabilità delle stazioni appaltanti nell’insorgenza e intensificazione del conflitto. Ritardi nei pagamenti dei corrispettivi dovuti alle imprese erogatrici o altre carenze funzionali e organizzative sono sovente all’origine degli inadempimenti delle imprese medesime nei confronti dei dipendenti e diventa dunque difficile scindere le responsabilità di appaltante ed appaltatore e, anzi, talvolta, sono proprio gli inadempimenti dei primi a escludere la responsabilità sostanziale delle imprese erogatrici.
Ma l’interpretazione “estensiva” della Commissione non può rivelarsi sufficiente. Si impone ormai, sul terreno legislativo, il rafforzamento degli strumenti di prevenzione del conflitto e di composizione delle vertenze. E proprio nella Commissione di Garanzia dello sciopero nei servizi pubblici il legislatore potrebbe collocare, in virtù dell’esperienza maturata, la sede più idonea ove realizzare la composizione del conflitto. In base alla normativa vigente, l’Autorità garante non è legittimata a svolgere un ruolo di conciliazione e di arbitrato sui contenuti economici delle controversie, benché, indirettamente, adoperandosi per attenuare il conflitto che da luogo allo sciopero, potrebbe tuttora condizionarne l’esito. Già nella scorsa legislatura, un disegno di legge delega presentato il 27 febbraio 2009 dal Ministro Sacconi prevedeva un’evoluzione dell’Autorità stessa che avrebbe dovuto acquisire la funzione di una Commissione per le relazioni di lavoro, con poteri di arbitrato e di conciliazione. Un’Autorità, dunque, pienamente legittimata a intervenire direttamente nella composizione delle vertenze cui si collega il ricorso allo sciopero.
E già allora quel disegno di legge ipotizzava l’adozione di parametri di rappresentanza per la proclamazione dello sciopero nei trasporti pubblici, attraverso il referendum con soglie di sbarramento per verificare la dimensione del consenso dei lavoratori interessati nei confronti dell’iniziativa di astensione.
La proposta è stata ripresentata dallo stesso sen. Sacconi nella legislatura in corso e, dopo la pausa estiva, dovrebbe iniziare l’esame nelle competenti commissioni del Senato, contestualmente a quello di un analogo disegno di legge del sen. Ichino che ugualmente prevede criteri di ammissibilità della proclamazione di sciopero, in base alla rappresentatività delle organizzazioni sindacali promotrici dello stesso o, in alternativa, attraverso referendum tra i lavoratori interessati.
Sarebbe inoltre necessario salvaguardare con misure più incisive gli eventi di particolare rilevanza internazionale (come, ad esempio Expo e Giubileo), estendendo le franchigie degli scioperi nei servizi pubblici alle date più significative degli stessi, per non mettere ulteriormente a rischio l’immagine del
Paese.