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Il problema del radicalismo islamico è in parti dell’Islam, e noi ci stiamo girando intorno

Perugia ─ “Il problema è nell’Islam”. Sono parole forti, complicate e complesse, pericolose. Di quelle che sono sempre a grosso rischio di strumentalizzazione ─ figurarsi in un momento storico di questo Paese dove l’eccentricità porta un ex ministro (“per la Gioventù”), Giorgia Meloni, a scartare l’ipotesi (bizzarra e improbabile, va detto) sulla candidatura a prossimo presidente della Regione Sicilia del giornalista Pietrangelo Buttafuoco perché è un convertito all’Islam e sarebbe un messaggio sbagliato, «un cedimento culturale ai quei fanatici che vorrebbero sottomettere noi infedeli», precisa Meloni. (Quando siamo arrivati così in basso?).

Dunque quelle parole d’apertura, sono del genere da spiegare, da articolare per la lunghezza di un intero articolo, per inquadrare la questione senza correre il rischio di fare da spalla a certe strampalate posizioni di qualche politico italiano. Un brutto rischio, che quasi non si vorrebbe correre (per non finire impelagati in qualche involontaria complicità). E invece, vale comunque la pena di parlarne (oltre al dovere di cronaca, diciamo), perché questi che viviamo sono giorni contemporanei alla data che forse segnerà il nuovo corso nel rapporto tra stati occidentali e società islamica.

Esattamente dieci giorni fa, il 19 luglio, alla Ninestiles School di Birmingham, il primo ministro inglese David Cameron ha tenuto un discorso che può essere considerato lo spartiacque nella trattazione dei rapporti Occidente-Islam: senza giri di parole, Cameron ha accusato la comunità musulmana in Gran Bretagna di non fare abbastanza per bloccare i reclutatori dello Stato islamico e per allontanare i giovani inglesi dal fascino della narrativa del Califfato.

La Gran Bretagna ha un serio problema con l’estremismo islamico: dai dati raccolti dall’intelligence, sarebbero circa seicento i giovani partiti per combattere il jihad in Siria e in Iraq dal 2012. Alcuni di loro sono diventati dei preoccupanti simboli: su tutti Mohamed Emwazi, meglio conosciuto come “Jihadi John”, capo del gruppo di sequestratori “Beatles” interno allo Stato islamico, e boia degli occidentali decapitati nei video dell’IS. Emwazi è di origine kuwaitiana, ma è cresciuto a Londra. Uno dei tanti: nell’ultimo anno sembra che la polizia inglese abbia arrestato una persona al giorno con l’accusa di terrorismo. Soprattutto giovani. Ragazzi e ragazze, affascinate dalla possibilità di andare a far parte di un mondo in cui finalmente “puoi contare qualcosa”, sanare ingiustizie storiche e fantomatiche avversità, uscire dalla povertà, indottrinati dalle solite idee cospirative di quella visione del mondo che Cameron definisce «malata» e di cui Daniele Raineri sul Foglio ha fornito una sintesi efficace: «L’Occidente è cattivo e la democrazia sbagliata, le donne sono inferiori e l’omosessualità è un male, la legge religiosa prevale sulla legge dello stato e il Califfato prevale sullo stato nazione, e la violenza è giustificata – anzi incoraggiata e richiesta – per vincere». E ancora, gli ebrei e i poteri malevoli occidentali, che operano in concerto per umiliare i musulmani con l’obiettivo ultimo di distruggere l’Islam. «Non è così» dice il premier inglese: «Vi useranno e vi butteranno via». «Se sei un ragazzo, ti faranno il lavaggio del cervello, ti metteranno addosso una bomba e ti faranno esplodere. Se sei una ragazza, ti schiavizzeranno e abuseranno di te» continua: «Questa è la realtà malata e brutale dello Stato islamico». Parole accorate, verso quello che ha definito lo «struggle» di una generazione: combattere il jihadismo interno al Paese.

Oltre al quando, al come e al che cosa, anche il dove del discorso di Cameron ha un grosso valore rappresentativo. Se c’è una realtà simbolo della società multiculturale, multirazziale e multireligiosa inglese, quella è Birmingham ─ più di Londra, simbolo globale e per questo meno “locale-britannica”. E da Birmingham che Cameron trova lo spunto per la “One Nation”, lo slogan sulla società unita che lo ha portato a rivincere le elezioni: sconfiggere insieme l’estremismo e costruire una società più forte e coesa, che Cameron definisce un «elemento vitale di quest’unione».

Birmingham una delle città che ha “contribuito” più di qualunque altra in quei 600 jihadisti partiti dal suolo inglese. Ospita la più grande comunità musulmana del Regno Unito, e ha un rapporto storico con il radicalismo islamico. Lo scorso anno fece piuttosto scalpore la notizia diffusa dal Guardian secondo cui in una delle scuole della città, fu proiettato agli studenti un video di propaganda jihadista. Si scoprì in seguito che si trattava di un’operazione denominata “Cavallo di Troia” con cui alcuni alcuni gruppi islamici integralisti volevano “prendere il controllo” delle scuole.

Una scuola, come quella da cui ha parlato Cameron: e la questione torna di nuovo d’attualità. Sky News ha pubblicato in questi giorni un’inchiesta che racconta come all’Institute of Islamic Education ─ che si trova all’interno della Markazi Masjid, una delle più grandi moschee del Regno Unito ─ di Dewsbury, nei pressi di Leeds (Inghilterra del nord), siano previste sanzioni e punizioni per gli studenti che frequentano compagnie non musulmane. L’istituto imporrebbe un codice di comportamento ispirato alla sharia: niente Tv e giornali, solo abiti islamici, ascolto della musica limitato, segregazione culturale e via dicendo. Nota a latere: secondo quanto rivelato da Sky News, l’Ofsted, dipartimento del governo che ispeziona le scuole e ne valuta la qualità, avrebbe giudicato “buono” l’istituto.

La parte focale del discorso di Birmingham è proprio quella in cui Cameron pone l’obiettivo su un problema molto importante, che si aggancia ai fatti di Dewsbury. Dice il premier: «Non c’è bisogno di sostenere la violenza per sottoscrivere alcune idee intolleranti che creano un clima in cui l’estremismo può fiorire. Idee che sono ostili ai valori liberali di base come la democrazia, la libertà e la parità sessuale. Idee che attivamente promuovono la discriminazione, il settarismo e la segregazione». Ed è vero: il processo di radicalizzazione avviene molto spesso in luoghi in cui la violenza non è praticata, ma tuttavia è tollerata. La Markazi Masjid, per esempio è la sede europea della Tablighi Jamaat, un movimento islamista con connotati estremisti.

Per far fronte all’estremismo islamista, occorre allora contrastare sia il volto violento che quello non apertamente violento, e per questo sostiene Cameron serve di occuparsi anche di quelle realtà che pur condannando la violenza apparentemente, sostengono altre posizioni estreme come le teorie cospirative secondo cui l’Occidente vuole eliminare l’Islam, o posizioni illiberali, o il settarismo, la discriminazione, la segregazione; e di quelle moschee in cui si leggono versi che inneggiano al jihad e dove si racconta che Maometto era un conquistatore e in questo occorre seguirlo. Posizioni su cui c’è stato un “condoning quietly” da parte della società britannica (anche in nome del buonismo e del politically correct) e soprattutto della comunità islamica. Un’ipocrisia che è finita per spalancare la porta alla narrazione estremista, e poi a dipingere il radicalismo come rivincita e infine dato un tocco glamour al jihad.

Il discorso di Cameron potrebbe segnare il passo, dunque. Si tratta della prima volta che un leader occidentale parla di un problema esistente con settori della comunità musulmana ─ «Si è spinto coraggiosamente dove nessun altro leader europeo aveva osato prima» ha scritto in un op-ed sul Times Ayaan Hirsi Ali, intellettuale di origini somale finita nel mirino dei terroristi islamici per aver partecipato alla produzione del documentario “Submission” sul fanatismo islamico, costato la vita al regista assasinato Theo Van Gogh. «Non posso essere più d’accordo. In tutto il mondo gli islamisti si infiltrano nelle comunità musulmane e dicono loro: “Gli infedeli sono in guerra con la tua religione”» scrive ancora Ali, a sostegno di una tesi piuttosto diffusa secondo cui gli unici persecutori dei musulmani nel mondo sono i musulmani stessi, quelli radicali e violenti, che colpiscono gli altri per la moderazione.

Cameron ha certamente esposto il fianco alle strumentalizzazioni e al rischio di «generalizzazione su base religiosa» (Raineri, Foglio). Ma quella segnata alla Ninestiles School è anche la linea della futura traccia politica. Da settembre partiranno una nuova serie di misure messe in campo dal governo inglese contro l’estremismo interno e che copriranno l’iniziativa dell’esecutivo per i prossimi cinque anni. Bloccare i passaporti (e l’invito rivolto dal premier anche ai genitori che pensano che il proprio figlio stia per partire per il jihad); eliminare i predicatori radicali fornendo sostegno ai moderati per rafforzarne la voce; sostenere istituzioni islamiche che aiuteranno il governo a tenere i giovani lontani dal fanatismo. Cameron ha un piano operativo, che mette in pratica la lezione di Birmingham, per affrontare quello che in questo momento è uno dei più grossi problemi del Regno Unito.

@danemblog

(Foto: archivio Formiche)

 

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