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Isis, ecco come funziona la propaganda dei drappi neri

Per gentile concessione dell’editore Guerini Associati pubblichiamo un estratto dal libro “Noi terroristi – Storie vere dal Nord Africa a Charlie Hebdo” del sottosegretario agli Affari esteri Mario Giro

A leggere i siti che si riferiscono a Dae’sh (o Isis che dir si voglia, ndr), il «nuovo stato» è un paradiso: il vero islam realizzato in terra. L’appello ad aderirvi fa leva su un amalgama di spirito di avventura, pionierismo, romanticismo rivoluzionario e senso di giustizia che spesso anima i giovani. Sulle chat i reclutatori parlano di giusti prezzi, assenza di tassi di interesse e di bollette, tribunali efficienti e scomparsa di privilegi, stipendi fissi e polizze vita, fratellanza e lotta per la difesa della nazione.

I leitmotiv sono numerosi: «se Israele può pretendere un suo stato, perché i musulmani non potrebbero? se gli occidentali fanno la guerra per il petrolio, perché non dovremmo difendere le nostre risorse? se estranei disegnano la mappa del Medio Oriente secondo i loro interessi, perché non contrapporsi creando un nostro stato?». Temi triti e ritriti ma sempre stuzzicanti.

Tanti sono caduti in questa rete e sono ancora lì a combattere. Molti sono morti. Ma le chat restano affollatissime: nello «stato islamico» le nuove coppie ricevono casa gratis, puoi contare su medicine e cure gratuite, non paghi imposte. Se non sai l’arabo lo imparerai ma non ti preoccupare: molti sono gli stranieri. Infatti la lingua di Dae’sh è paradossalmente l’inglese (o il francese): qualcosa di ibrido sta nascendo nel cuore del dar el-islam.

Nello «stato islamico» Skype è molto utilizzato, molti jihadisti si offrono su Ask.com per essere intervistati. Via internet si stabilisce un ambiguo gorgo tra giornalisti occidentali in cerca di scoop a effetto e jihadisti che ne manipolano le ambizioni. Più si parla di Dae’sh e meglio è: più foto su Twitter, più video, più contenuti. Lo «stato islamico» è un fenomeno virtuale divenuto vira le, ma rimanda a fatti veri, a una guerra orribile.

A Raqqa, la capitale di Dae’sh in Siria, si nasconde un centro elaborazione dati che produce contenuti, difende i siti dagli attacchi elettronici, fa propaganda. Anche Anonymous se ne è occupato, ma sembra con scarso successo. Alle tastiere si trovano cyber-jihadisti e cyber-jihadiste esperti, originari dei paesi sviluppati. Alcuni di essi sono divenuti dei miti per i giovani adepti della guerra santa.

Esiste anche un servizio di incontri matrimoniali per foreign fighter di provenienza europea: siriane e irachene non si intendono con chi è abituato a un’altra cultura. Paradossalmente l’incontro nella «terra libera dell’islam» non è semplice: più radicali e conservatori i neo-convertiti (o riconvertiti), ma anche più disinibiti nelle relazioni con l’altro sesso. Vanno quindi cercate anime gemelle all’estero: in molte ci cascano.

Può sembrare strano che così tanti (si dice fino a 30.000) giovani provenienti da altri Paesi arabi, dal Caucaso o dall’Occidente, abbocchino a tale propaganda. Non si deve dimenticare che anche le generazioni precedenti hanno rischiato lo stesso destino per cause perse: la manipolazione
dei giovani e la loro radicalizzazione non sono una novità contemporanea. Il vuoto lasciato dalle ideologie si riempie oggi di islam globalizzato. La notte della rivoluzione diviene l’alba del califfo.

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