Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo un’analisi di Andrea Ferretti uscita su Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
A ben vedere, tralasciando per un attimo variabili macro quali la drammatica crisi greca, i fattori che appaiono in grado di frenare la trasmissione degli stimoli monetari della BCE dalle banche alle imprese appaiono essenzialmente due. Il primo è legato a quel fardello costituito da 350 mld di credito deteriorato (192 mld di sofferenze), che non dà segni di cedimento e che costringe gli istituti ad incrementare accantonamenti e patrimonio a discapito delle risorse destinabili al supporto delle PMI. In quest’ambito, finalmente, alcuni interventi non convenzionali di natura fiscale e fallimentare sembrerebbero ormai pronti ad entrare in pista.
Esiste, tuttavia, un secondo fattore, forse più subdolo del primo, in grado di ostacolare il sostegno del sistema bancario alle imprese. Si tratta, in buona sostanza, di un insieme di nuove disposizioni di vigilanza elaborate dall’EBA (European Banking Authority) che si stanno prepotentemente incuneando nel rapporto banca – impresa. La prima di queste disposizioni – che hanno già trovato parziale applicazione nell’ambito dell’Asset Quality Review effettuato dalla BCE sulle principali banche europee – è quella che concerne il credito cosiddetto tollerato (forborne). In sostanza i Regulators hanno imposto alle banche di prestare particolare attenzione sia alle domande di rinnovo dei prestiti, sia alle richieste di rivisitazione delle condizioni provenienti da soggetti in difficoltà finanziaria. Qui il problema deriva dal rischio che alcune posizioni, magari anche catalogate in “bonis” (ossia prive di anomalie), in realtà siano artificialmente tenute in vita solo grazie ai continui rinnovi degli affidamenti concessi nonostante la evidente difficoltà finanziaria del prenditore.
Secondo le nuove norme, gli Istituti sono ora tenuti a verificare sia l’esistenza di una difficoltà finanziaria in capo al cliente, sia la presenza di una richiesta di intervento configurabile come misura di tolleranza (rinnovo del fido in scadenza, riduzione dei tassi, allungamento dei tempi etc). In presenza di ambedue i fattori (in prospettiva si terrà conto nell’esame anche dell’adeguatezza dei flussi di cassa previsionali) la banca dovrà evidenziare la linea di credito “incriminata” e marchiarla come credito forborne. Da evidenziare che, al momento, la vigilanza non prevede un automatico incremento degli accantonamenti da effettuare sui crediti forborne, tuttavia, mi guarderei bene dal mettere la mano sul fuoco per quanto riguarda il futuro. La seconda norma riguarda, più in generale, la policy sugli accantonamenti che le banche stanno progressivamente adottando. In buona sostanza gli istituti, per quanto riguarda le posizioni deteriorate, non potranno più basarsi semplicemente su tabelle di accantonamenti percentuali standard più o meno accettate dalla vigilanza, ma dovranno stimare, con maggiore aderenza alla realtà, la perdita effettivamente attesa sulla posizione esaminata. Ed è proprio su questa perdita attesa (calcolata anche sulla scorta di modelli già validati da Banca d’Italia) che gli istituti dovranno poi effettuare accantonamenti adeguati che, in molti casi, si riveleranno decisamente più pesanti rispetto al passato.
Ora, probabilmente, l’introduzione di queste nuove disposizioni di vigilanza non genererà un disastro ecologico (anche perché gli istituti stanno cercando di applicarle in maniera soft), tuttavia le ripercussioni su banche ed imprese non devono essere assolutamente sottovalutate. Con questo non si intende affatto sminuire il fondamentale sforzo compiuto negli ultimi anni dalle autorità di vigilanza al fine di rafforzare la solidità complessiva del sistema bancario.
Tuttavia, appare incontrovertibile che ci troviamo risucchiati all’interno di un circolo vizioso nell’ambito del quale molte delle misure rivolte a rafforzare il sistema bancario generano danni collaterali che limitano la capacità delle banche stesse di sostenere il comparto produttivo. A questo punto, superata forse l’emergenza (ma non certo la crisi), diventa indispensabile spostare l’attenzione dalle misure “di protezione” quali quelle sin qui esaminate, alle misure in grado di stimolare l’accesso al credito e quindi la crescita. Almeno finchè il volano dell’economia non si sarà rimesso stabilmente in movimento. Anche perché, se non si fanno scelte coraggiose in questo senso, si rischia di annacquare anche l’azione propulsiva della BCE con la conseguenza che, almeno in Italia, gli effetti benefici sulle nostre aziende potrebbero durare, come si dice a Lucca,“quanto un gatto sull’Aurelia.”
Andrea Ferretti è docente al Corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona.