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Patent box, l’occasione mancata dell’Italia sul copyright

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Con la legge n. 190/2014 l’Italia ha introdotto nell’ordinamento un regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi (patent box) derivanti dall’utilizzo di alcune tipologie di beni immateriali, conseguiti da società ed enti commerciali che svolgono attività di ricerca e sviluppo.

Il regime, che ha l’obiettivo di attirare gli investimenti di multinazionali da un lato, ma anche di favorire un più ampio impegno delle PMI italiane nella tutela della proprietà intellettuale, consente, con decorrenza dal primo gennaio 2015, di beneficiare dell’esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi e dell’IRAP di una quota pari al 30% del reddito derivante dall’utilizzo indiretto di opere dell’ingegno, marchi e brevetti.

L’iniziativa italiana è stata molto apprezzata, la Camera di Commercio Americana in Italia, ad esempio, si è spesa molto sul progetto di legge e ha seguito con grande attenzione l’iter della norma. Sulla GU n. 70 del 25 marzo 2015, è stata poi pubblicata la legge n. 33, di conversione del D.L. n. 3/2015, – c.d. Investment compact.

In definitiva il decreto ha fissato le novità introdotte al regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo di marchi e brevetti – patent box – introdotto dalla legge di stabilità per il 2015.

Una misura attesa che per la prima volta in Europa ha uno spettro di applicazione molto ampio. Tra l’altro il decreto Investment Compact aveva rimosso la limitazione che vedeva i marchi d’impresa agevolati solo se funzionalmente equivalenti ai brevetti, estendendola pertanto a tutti i marchi, inclusi quelli commerciali.

La norma italiana si applicava come detto anche alle opere dell’ingegno, area molto interessante, soprattutto considerando il fatto che i contenuti digitali stanno assumendo un ruolo fondamentale nello sviluppo del digitale.

Ma cosa accade lungo il percorso, non breve bisogna dirlo, di emissione del Decreto attuativo, che sarebbe in questi giorni alla firma dei Ministri Guidi e Padoan?

Qualcosa si inceppa, la norma primaria viene sconvolta e l’applicazione della norma alle opere dell’ingegno, senza alcuna limitazione, come prevede la legge, viene limitata ai soli programmi per elaboratore, ovvero software. Via tutto il resto, dall’editoria, al cinema, alla musica, ecc.

Sorprende molto quanto avvenuto in sede di elaborazione del decreto attuativo, soprattutto anche alla luce di quanto sta emergendo proprio in questi giorni dal report OCSE sul Knowledge-Based Capital (II) – Intellectual Property Pillar il cui obiettivo è stato quello di esaminare, da un lato, l’interazione tra sviluppo tecnologico e il sistema della protezione della proprietà intellettuale e, dall’altro, di provare la crescente importanza della creatività e innovazione per stimolare la crescita economica e il benessere sociale. Insieme alla R&S, il design, i dati, la proprietà intellettuale -brevetti e diritto d’autore è infatti considerata una nuova classe di beni, il cosiddetto knowledge-based capital (KBC).

Come scrive la rappresentante italiana nel gruppo di lavoro OCSE, Daniela Battisti, “il rapporto dimostra come la performance economica della proprietà intellettuale (Intellectual Property-IP) e in particolare, del diritto d’autore (copyright), sia stata relativamente forte. Evidenzia inoltre che gli investimenti in capitale protetto dall’IP crescono con maggiore velocità degli investimenti in capitali tangibili e i salari nei settori IP-intensive sono più alti che nei settori non-IP intensive. I settori copyright-intensive hanno avuto risultati particolarmente buoni anche durante la crisi finanziaria globale e hanno superato altri settori nella creazione di nuovi posti di lavoro”.

Ma i tecnici del governo forse il rapporto non lo hanno letto ed entrano a gamba tesa sul Patent Box colpendo l’area più innovativa nello sviluppo dei contenuti digitali, essenziale per fortificare la produzione italiana che si troverà a confrontarsi sul piano globale grazie al digitale.

L’unica speranza è che il Ministro Guidi rimandi al mittente l’improvvido decreto attuativo richiedendo l’integrazione in linea con le previsioni normative originarie, evitando che un’apprezzata iniziativa decolli tra ricorsi costituzionali, cosa che non farebbe bene all’immagine del Paese sul piano internazionale.

Enzo Mazza
Ceo FIMI (Federazione industria musicale italiana)

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