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Perché Tsipras ha rottamato il No

L’aria che tira porta a ritenere che si arriverà a un accordo Salva-Grecia. Ma così avverrà soltanto se il piano di Alexis Tsipras avrà le stimmate del rigore e del risanamento (compreso un giro di vite sull’età pensionabile, il sancta santorum della sinistra). Con buona pace dei “compagnucci” della Brigata Kalimera si dimostrerà ancora una volta che non esistono politiche alternative.Tra stabilità e sviluppo non c’è contraddizione, ma coerenza e continuità. La stabilità è un presupposto ed una precondizione dello sviluppo.E alla fine, anche Alexis Tsipras, al pari di Matteo Renzi, si accorgerà che i veri avversari non stanno a Bruxelles o a Francoforte, ma ad Atene, all’interno del Comitato Centrale di Syriza.

Come ha scritto Apostolos Doxladis (Corriere della sera del 6 luglio) a proposito del premier greco: ‘’Avendo posto un quesito assurdo e falso nel referendum, essi hanno ricevuto, senza volerlo, il mandato popolare a mettere in atto un’utopia’’. Ciò premesso, non è casuale che le autorità europee – in Italia come in Grecia – siano tanto attente alla stabilità dei sistemi pensionistici, al punto da ritenere credibili le politiche di risanamento finanziario degli Stati membri, nella misura in cui esse affrontano il nodo delle pensioni (e, segnatamente, dell’età di pensionamento effettivo).

Il Vecchio Continente sta per essere investito da un ciclone sul piano demografico che renderà insostenibili ed iniqui ( anche per quanto riguarda i rapporti tra le generazioni) anche i modelli pensionistici più rigorosi, finanziati con il metodo della ripartizione. Secondo l’ultimo Ageing Report della Unione europea, nel periodo intercorrente tra il 2010 e il 2060, il tasso di fertilità, nonostante alcune limitate variazioni, continuerà a restare sotto il tasso naturale di rimpiazzo (calcolato pari a 2,1 nel 2060). Per quanto concerne l’attesa di vita i grafici si impennano.

Alla nascita, per gli uomini si passerà da una media di 76,7 nel 2010 a 84,6 anni cinquant’anni dopo. In Italia da 78,9 a 81,1, mentre in Grecia l’aspettativa aumenterà di 7,1 anni. Per le donne, da 82,5 a 89,1 (in Italia da 84,2 a 89,7 e in Grecia saranno 5,5 anni di vita in più). A 65 anni, tra mezzo secolo gli uomini (EU) vivranno, in media, altri 22,4 anni, le donne ancora 25,6 anni. In Italia rispettivamente 22,9 e 26,1; in Grecia rispettivamente 22,6 e 24,6 anni. La risorsa dell’immigrazione (alla faccia di Matteo Salvini) continuerà a colmare i deficit demografici, ma con una tendenza al rallentamento.

L’insieme di tali processi determinerà degli effetti anche sul totale della popolazione che passerà dai 502 milioni del 2010, ai 526 milioni del 2040 per scendere a 517 milioni vent’anni dopo (nell’Eurozona la scansione è la seguente: 331 milioni nel 2010, il picco di 348 milioni nel 2040, la discesa a 340 milioni nel 2060). Anche la gerarchia demografica dei Paesi sarà sconvolta. Nel 2010, al primo posto era la Germania con 82 milioni di abitanti, poi seguivano la Francia (65 milioni), il Regno Unito (62 milioni), l’Italia (60 milioni), la Spagna (46 milioni). Nel 2060 l’ordine previsto sarà il seguente: Regno Unito (79 milioni), Francia (74) Germania (66), Italia (65), Spagna (52).

La Grecia non si discosterà dagli attuali 11,3 milioni. Subirà una trasformazione profonda la struttura della popolazione, con effetti diretti sul mercato del lavoro. Nel 2010, le coorti più numerose erano quelle intorno ai 40 anni di età sia per uomini che per donne. Alla fine del periodo considerato, la quota delle persone con meno di 14 anni resterà sostanzialmente invariata (14%) sia per quanto riguarda la UE che l’Eurozona. Le coorti comprese tra 15-64 anno scenderanno dal 67% al 56%; quelle con 65 e più anni passeranno dal 17% al 30%; quelle con 80 e più anni dal 5% al 12% (una quota molto vicina a quella della popolazione più giovane). In sostanza, in Europa, la popolazione compresa tra 15 e 64 anni si ridurrà di 45,6 milioni; quella con 65 e più anni aumenterà da 87,5 milioni a 152,6 milioni, quella di 80 e più anni da 23,7 milioni a 62,4 milioni (va da sé che gli ultimi dati non si sommano tra di loro).

In Italia, anche i ragazzi diminuiranno di 1,5 punti attestandosi al 12,5%. La popolazione da 15 a 64 anni subirà un calo vistoso dal 65,7% al 55,9%, mentre la popolazione con 65 e più anni passerà dal 20,3% al 31,6%. Gli ultraottantenni saranno due punti in più dei ragazzi con meno di 14 anni. Si arriva così a mettere a confronto la popolazione in età di pensione con quella in età di lavoro. Si chiama tasso di dipendenza: al numeratore stanno gli ultrasessantacinquenni, al denominatore le coorti comprese tra 15 e 64 anni. In Europa, questo rapporto raddoppierà passando dal 26% al 52% (se poi si considerasse il tasso di dipendenza economica effettiva al netto della forza lavoro occupata il dato sarebbe ancora peggiore). In sostanza vi sarà una persona anziana a fronte di due in età di lavoro. Se poi, si volesse considerare il tasso di dipendenza in termini assoluti, aggiungendo al numeratore (oltre agli anziani) anche i giovani fino a 14 anni, il rapporto passerebbe dal 43,3% al 77,9% nel 2060. In sostanza, se si confermeranno tali tendenze, per ogni 100 persone in età di lavoro ben 78 sarebbero a loro carico. Con questi scenari, altro che flessibilità del pensionamento, compagno Poletti!



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