Esagerato com’è sia nella versione autentica sia nelle imperdibili imitazioni che ne fa Maurizio Crozza in televisione, Vincenzo De Luca non si è risparmiato neppure il paragone ai partigiani della Resistenza, saliti in armi sulle montagne, per raccontare la lotta sostenuta e finora vinta contro quanti ne hanno contestato la candidatura prima e l’elezione poi a governatore della Campania. Sino a farlo sospendere, come ha dovuto fare il suo compagno di partito e capo del governo, incalzato dalle opposizioni, in tempi e con procedure tali da cercare di impedirgli la nomina della nuova giunta regionale, ma soprattutto di un vice di fiducia.
Intervistato dal direttore renziano della rinata Unità, De Luca ha anche scambiato per una guerra addirittura “termonucleare” l’offensiva politica subìta a causa della condanna in primo grado per abuso d’ufficio, senza neppure danno patrimoniale, sufficiente però secondo la cosiddetta legge Severino a vanificare i voti che lo hanno portato a fine maggio alla guida della sua regione. Una legge che, già impugnata per altri casi dalla magistratura ordinaria e amministrativa davanti alla Corte Costituzionale, Matteo Renzi non ha avuto il coraggio di sottoporre a modifica.
E’ proprio questa mancanza di coraggio che De Luca ha forse voluto rimproverare al presidente del Consiglio definendo, nel ricorso presentato al tribunale civile di Napoli, “disinvolto” e “destabilizzante” il decreto di sospensione adottato contro di lui prima ancora del suo insediamento. Una definizione non contestata dal tribunale, che ha sospeso la sospensione accogliendo le ragioni del ricorrente e restituendogli il potere di nomina della giunta e del vice, in atttesa che la Corte Costituzionale si decida, in autunno, a confermare o negare la contestata legittimità delle norme che portano il nome dell’ex ministro “tecnico” della Giustizia, Paola Severino appunto, uno dei fiori all’occhiello del passato governo, “tecnico” anche lui naturalmente, di Mario Monti. Legittimità dubbia sotto vari profili, fra i quali l’applicazione retroattiva, adottata in verità anche nei riguardi di Silvio Berlusconi, che ci rimise nell’autunno di due anni fa il seggio di senatore, sia pure per una sentenza definitiva e per un reato grave come la frode fiscale, diversamente da De Luca, finito sotto il tiro della legge Severino per una condanna solo di primo grado. E per un abuso d’ufficio considerato dagli amministratori locali –parola dell’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani – come un eccesso di velocità o un sorpasso irregolare per un camionista.
In verità, l’animosità di De Luca nei riguardi di Renzi ricavabile dagli aggettivi affibbiati al decreto presidenziale di sospensione impugnato davanti al tribunale di Napoli può essere più di facciata che di sostanza, essendo emerso che, costretto alla durezza di una sospensione immediata dalla minaccia delle opposizioni di denunciarlo per omissione, Renzi è stato il primo ad accogliere con sollievo la bocciatura rimediata dal giudice ordinario. Che salva, almeno per adesso, sia De Luca, aiutato dal presidente del Consiglio e segretario del partito a candidarsi, sia il passaggio della regione Campania dal centrodestra al centrosinistra. Un passaggio senza il quale, vista la bruciante sconfitta nella Liguria e il salvataggio in extremis dell’Umbria, le elezioni di fine maggio sarebbero state per Renzi e per il Partito Democratico davvero una rovina.
Meno di facciata, e più consistente, è invece la protesta di De Luca contro il terreno ancora una volta lasciato da Renzi alla magistratura per sciogliere nodi legislativi di competenza della politica. Che peraltro, proprio nel caso del nuovo governatore della Campania, come due anni fa nel caso di Berlusconi, ha perso, rispettivamente per paura o opportunismo, l’occasione di rivalutarsi rispetto ai tecnici.
Come provano, fra l’altro, proprio il pasticcio che si è rivelato la legge Severino e i blocchi pensionistici voluti dall’allora ministro Elsa Fornero, e incorsi nella bocciatura della Corte Costituzionale, i tecnici non sono necessariamente superiori ai tanto bistrattati politici. I quali peraltro hanno diritto ad un’attenuante che non dovrebbe spettare agli altri: l’incompetenza.
In realtà, si è scoperto che i tecnici riescono ad essere ancora meno competenti dei politici. E qualche volta anche più ambiziosi. Anzi, più rovinosamente ambiziosi. Ma non ditelo, per favore, a Renzi per evitargli, già spavaldo di suo, di perdere la testa.