Alitalia, 31 ottobre 2014: 1199 dipendenti vengono licenziati. La Regione Lazio presenta al Governo un progetto pilota – il primo di questo genere in Italia – consistente, insieme ad altre misure, nella sperimentazione del metodo del contratto di ricollocazione per il reinserimento dei licenziati nel tessuto produttivo.
Ai 1199 viene offerta la possibilità di scegliere una delle agenzie specializzate accreditate per il servizio di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione; il servizio sarà pagato a prezzi di mercato, con un voucher regionale commisurato al risultato. Aderiscono a questa offerta soltanto in 184: meno di un sesto degli interessati. Il fatto è che gli ex-dipendenti Alitalia hanno un trattamento di disoccupazione privilegiato: oltre a quello che l’Inps eroga a tutti i lavoratori che perdono il posto, un’indennità complementare pagata dal Fondo Volo (denominazione ufficiale Fondo Speciale Trasporto Aereo), che è finanziata quasi interamente dai viaggiatori con una tassa di tre euro su ogni biglietto aereo venduto in Italia.
Questo trattamento, unico al mondo nel suo genere, porta il sostegno del reddito di piloti e hostess all’80 per cento dell’ultima retribuzione complessiva, comprese le indennità di volo: che significa nei casi di punta oltre 30.000 euro al mese. E tutto questo fino a un massimo di nove anni (!!). Deve sorprendere, dunque, non che uno soltanto su sei degli interessati abbia scelto di aderire alla sperimentazione pilota del contratto di ricollocazione, ma che ben uno su sei abbia preferito la prospettiva di tornare a guadagnarsi lo stipendio, invece che quella di godere fino all’ultimo euro del trattamento incredibilmente generoso del Fondo Volo.
La vicenda deve comunque indurre a una riflessione. La regola della condizionalità deve incominciare a essere applicata molto più rigorosamente. Stop all’assistenza ai ricchi a spese della collettività. Sostegno del reddito (possibilmente senza le punte inaudite del Fondo Volo) solo su base assicurativa e solo per il disoccupato che il nuovo lavoro lo cerca davvero.
(post tratto dal blog di Pietro Ichino)