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Chi plaude (e chi contesta) i piani verdi di Obama

Il più ambizioso piano per contrastare i cambiamenti climatici che gli Stati Uniti abbiano mai varato – il Clean power plan – è destinato a diventare l’ennesimo provvedimento del Presidente Barack Obama che scatena accesi entusiasmi quanto agguerrite opposizioni.

Il piano, che, assicura la Casa Bianca, fissa “standard realistici per ridurre le emissioni di biossido di carbonio del 32% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005” e lascia agli Stati della federazione Usa la “flessibilità di creare progetti su misura” per raggiungere questi obiettivi, è stato salutato come l’azione più determinata mai intrapresa da un presidente americano per combattere i cambiamenti climatici da centinaia di aziende – nomi come eBay, Nestle, General Mills – mentre ha sollevato le proteste dei gruppi dell’energia e della maggior parte dei Repubblicani. E siccome il piano di Obama non è certo nato dall’oggi al domani ma è frutto di un lungo e attento lavoro dello staff presidenziale, anche gli oppositori lavorano da oltre un anno per mandare a monte i piani sul clima di Obama.

I LOBBYSTI ANTI-OBAMA

A inizio 2014, circa 30 avvocati che rappresentano grandi corporation, lobbysti dell’industria del carbone e alleati dei politici Repubblicani hanno cominciato a incontrarsi regolarmente presso gli uffici della Camera di Commercio Usa. Il compito era uno solo: mettere a punto una strategia legale capace di smantellare le regole sul cambiamento climatico che temevano sarebbero presto arrivate dalla Casa Bianca. Obama infatti non ha mai fatto mistero di essere pronto ad agire “con decisione” sul clima e a usare il suo potere esecutivo se necessario: “Se il Congresso non agirà in fretta per proteggere le future generazioni, lo farò io”, aveva detto il presidente già nel discorso sullo Stato dell’Unione del 2013.

Tra i leader del gruppo di oppositori figuravano Roger R. Martella Jr., uno dei più alti funzionari Usa che si occupava di ambiente ai tempi del presidente George W. Bush, e Peter Glazer, uno dei lobbysti di spicco a Washington. In oltre un anno i 30 avvocati guidati da Martella e Glazer hanno conquistato consensi e appoggi fino a formare un’ampia rete di lobbyisti, a livello statale e federale, sostenuta da governatori e parlamentari Repubblicani, tutti uniti per ostacolare i progetti di Obama e combattere le sue regole sul clima.

“IL CLEAN POWER PLAN E’ ILLEGALE”

Così, pochi minuti dopo l’annuncio del Clean power plan, il procuratore generale del West Virginia, Patrick Morrisey, ha indetto una conferenza stampa al Greenbrier resort nel suo Stato e, fiancheggiato da Mike Duncan, presidente della American coalition for clean coal electricity (una delle maggiori associazioni che rappresenta gli interessi dell’industria del carbone) e da Greg Zoeller, procuratore generale dell’Indiana, ha annunciato che un gruppo di almeno 15 State general attorneys Repubblicani si prepara a intentare causa alla proposta di Obama sul clima, che, a detta di Morrisey, danneggerà l’economia del West Virginia e di tutti gli Stati Uniti.

La proposta di Obama viene definita “illegale”, frutto del lavoro di “burocrati radicali” e basata sul già “oscuro” Clean air act varato dall’Environmental protection agency (Epa) nel 2012. La coalizione che si prepara a sfidare Obama in tribunale comprende “Stati, consumatori, lavoratori delle miniere, operatori del carbone, utility e aziende che si oppongno a questa legislazione radicale e illegittima”, ha dichiarato Morrisey.

Laurence Tribe, professore di diritto costituzionale ad Harvard, sostiene che l’Epa sta tentando “un colpo di mano costituzionale su tre fonti” perché usurpa le prerogative degli Stati, del Congresso e dei tribunali federali in una volta sola. “Bruciare la Costituzione non dovrebbe far parte della nostra politica nazionale sull’energia”, ha detto Tribe.

LA STRATEGIA DEGLI OPPOSITORI

Nel mettere a punto la strategia contro i piani sul clima di Obama, il gruppo di lobbysti e Repubblicani ha lavorato a stretto contatto anche con l’ufficio del Senatore Mitch McConnell del Kentucky, leader della maggioranza e il cui Stato è un forte produttore di carbone. McConnell ha pensato – anziché di agire a livello federale nel Congresso – di far leva, in modo molto più efficace, sui governatori e i procuratori generali dei vari Stati, generando una ribellione alle nuove regole Stato per Stato.

Anche Morrisey viene da uno Stato (West Virginia) che è forte produttore di carbone (e che già registra il più alto tasso di disoccupazione degli Usa) ed è stato scelto come “frontman” della campagna anti-Obama sul clima. Ma le menti dietro la strategia sono il governatore del Texas Greg Abbott e il procuratore generale dell’Oklahoma Scott Pruitt; entrambi hanno già fatto causa a Obama sulle precedenti regole per il clima, il Clean air act.

Altro importante alleato della crociata anti-Obama è l’American legislative exchange council, o Alec, gruppo conservatore che fa pressione per far approvare leggi gradite a livello statale. Rimandare i provvedimenti sul clima fa parte delle sue battaglie. Nel comitato energia dell’Alec siede anche il citato Mike Duncan presidente della American coalition for clean coal electricity, lobbyista del carbone che ha collaborato con McConnell. Una delle leggi che l’Alec sta spingendo permetterebbe agli Stati di creare fondi, finanziati da donazioni da parte delle aziende, per sostenere le cause legali contro le leggi sul clima.

L’OFFENSIVA DI OBAMA

La moltiplicazione di tanti sforzi è commisurata alla portata, storica, delle nuove regole sul clima volute da Obama. Se approvate definitivamente (quindi, col via libera della Corte Suprema), trasformeranno profondamente interi settori dell’economia americana, favorendone alcuni, ma distruggendone alla lunga altri, come appunto quello legato alla produzione di carbone. L’amministrazione Obama è convinta che la legislazione sia giuridicamente solida e pronta a superare qualunque sfida in tribunale. “L’Epa usa l’autorità che le è conferita dal Clean air act per fissare gli standard sulle emissioni”, ha chiarito Thomas Reynolds, portavoce dell’agenzia.

Il Clean power plan rappresenta la versione finale e più severa del precedente piano dell’Epa sul clima. A ogni Stato Usa viene assegnato un target per la riduzione dell’inquinamento da CO2 dalle centrali elettriche. Ogni Stato può creare il suo piano di riduzione delle emissioni: le prime bozze dovranno arrivare entro il 2016 e le versioni definitive nel 2018. Tuttavia entro il 2030 le centrali esistenti devono ridurre le emissioni del 32%.

Obama sa che esistono grandi resistenze al suo piano ma ha ribadito che gli Stati Uniti hanno il dovere di adottare misure decise contro i cambiamenti climatici: è un imperativo per proteggere la salute delle persone ma anche un modo di dare l’esempio perché altre nazioni facciano lo stesso, per esempio la Cina (come noto, la Cina e gli Stati Uniti sono i maggiori responsabili delle emissioni di CO2 nel mondo).

Il sito della Casa Bianca elenca tutti gli altri vantaggi del piano: aumento della produzione da fonti rinnovabili, incremento dell’occupazione, calo dei costi dell’energia rinnovabile, risparmio sulle bollette per tutti i consumatori americani e per le imprese, e miliardi di dollari risparmiati sui costi che oggi l’America deve affrontare per rispondere alle emergenze climatiche (siccità, ondate di caldo, incendi, uragani).

Nella sua offensiva della persuasione, nota Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, Obama ha anche sottolineato che la ribellione contro il piano riguarda un numero ridotto di amministrazioni e aziende perché “più di mille sindaci di città americane hanno già preso impegni precisi contro l’inquinamento mentre molti produttori di elettricità stanno già modernizzando i loro impianti ed eliminando le centrali a carbone, soprattutto quelle più obsolete. Diversi grandi gruppi come General Motors, Wal-Mart e Ups stanno facendo scelte energetiche compatibili con quelle del piano del governo”.

“Faremo di tutto per combattere queste regole”, ha ribadito in tutta risposta McConnell, perché sono “contrarie a ogni progresso e non avranno un impatto significativo sull’ambiente mentre danneggeranno  soprattutto gli americani delle classi medio-basse. Un trionfo dell’ideologia cieca sulla solida politica”.

Il senatore Repubblicano Marco Rubio, riporta ancora Gaggi, ha definito il Clean power plan della Casa Bianca “irresponsabile ed eccessivo” e smentendo i calcoli di Obama ha annunciato: “La vostra bolletta salirà di 30 dollari al mese, una catastrofe”.

Anche secondo un altro senatore della destra radicale, il texano Ted Cruz, i conti della manovra energetica di Obama non tornano e per il governatore del Wisconsin, Scott Walker, quello di Obama è un intervento che costerà agli americani molti posti di lavoro e un aumento del costo dell’elettricità. Solo Jeb Bush, pur bocciando Obama, mostra un atteggiamento più pacato nei confronti del piano.

DALLA PARTE DI OBAMA

Pienamente dalla parte di Obama si è schierato invece un gruppo di 365 aziende e investitori, che ha scritto una lettera a 29 governatori di Stato per esprimere il proprio sostegno alle nuove regole sul clima che “aiuteranno l’economia e l’occupazione”.

“Il Clean power plan è il provvedimento giusto al momento giusto. E’ flessibile, pratico ed economicamente solido e permette all’America di migrare verso un futuro low-carbon”, ha commentato Mindy Lubber, presidente di Ceres, la rete di investitori che ha organizzato la lettera. Tra i firmatari ci sono Unilever, L’Oreal, Levi Strauss, Staples, SunEdison, Trillium Asset Management, adidas, Akamai, eBay, Nestle, Timberland. Tante le aziende delle energie rinnovabili che hanno firmato. Del resto, la Solar energy industries association ha salutato con favore le nuove regole quanto le hanno bocciate la America’s Natural gas alliance e la World coal association.

AMBIENTALISTI TRA ENTUSIASMO E SCETTICISMO

Il piano di Obama ha una portata tale che diventerà probabilmente uno dei temi caldi della prossima campagna presidenziale, con i candidati Repubblicani che cercheranno in tutti i modi di ribaltare le misure dell’attuale presidente. Al contrario la candidata Democratica Hillary Clinton ha già promesso che difenderà la politica di Obama sul clima contro l’opposizione Repubblicana, se sarà eletta. Il piano di Obama “è un importante passo in avanti per reagire alle sfide del cambiamento climatico”, ha detto la Clinton. “Stimola gli investimenti in energie verdi ed efficienza energetica, riduce i problemi di salute per le persone e aiuta a rendere l’ambiente più pulito e l’economia più forte”.

La Clinton convince poco gli ambientalisti perché finora ha fornito risposte poco soddisfacenti alle loro richieste. E lo stesso piano di Obama non piace a tutti i paladini dell’ambiente: ci sono gli entusiasti che festeggiano un provvedimento “storico” e la “fine dell’era dell’inquinamento da CO2”, come ha dichiarato l’associazione NextGen climate America (che, insieme a Sierra Club, League of conservation voters, Natural resources defense council, Center for American progress, EarthJustice, ha espresso forte sostegno al piano di Obama), ma ci sono anche gli scontenti come Friends of the Earth che, pur lodando l’iniziativa di Obama, non la ritengono sufficiente per affrontare la crisi climatica: le regole del Clean power plan non sono ancora abbastanza severe per ridurre le emissioni e i tempi sono troppo lunghi.

“Gli Usa si puliscono la coscienza per le loro responsabilità sull’inquinamento globale”, ha detto il presidente di Foe Erich Pica. “Ma non basta fare riforme sulla struttura di centrali elettriche esistente”. Obama in realtà ha in cantiere un progetto ancora più vasto in cui iscrivere il Clean power plan, che è il Climate action plan, con cui affronterà altre tematiche – per esempio standard di efficienza per i combustibili per i veicoli. Tuttavia Obama – anche con il piano più perfetto per smettere di inquinare – può fare poco senza la cooperazione del Congresso e con le opposizioni pronte a sfidare anche in tribunale la legalità dei suoi provvedimenti.

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