E’ indubbio il carattere strumentale del tentativo compiuto, e fallito, dalla minoranza del Partito Democratico di portare nel nuovo consiglio d’amministrazione della Rai l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli. Del quale gli avversari di Matteo Renzi volevano premiare non tanto la ben nota e collaudata professionalità, o l’appartenenza alla “borghesia” ambrosiana, come ha osservato il presidente del Pd Matteo Orfini, quanto le critiche formulate, quand’era alla guida del maggiore giornale italiano, al presidente del Consiglio.
In particolare, de Bortoli cominciò il 24 settembre 2014 con un editoriale contro la personalità “ipertrofica” dell’ex sindaco di Firenze, i suoi “muscoli” sostitutivi della “debolezza delle idee”, la pretesa di poter di fare tutto da solo, senza l’aiuto di una vera “squadra”, “lo stantio odore di massoneria nel Patto del Nazareno” fra lui e Silvio Berlusconi. E con l’invito a “guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso”. Poi, lasciando la direzione del giornale e rivelando un lungo e acuminato scambio di messaggi avuto nel frattempo con lui, de Bortoli diede a Renzi del “maleducato di talento”.
Di quelle critiche urticanti, il presidente del Consiglio non ha voluto dimenticarsi quando è stato informato, in Giappone, della iniziativa della minoranza del suo partito di premiare l’ex direttore del Corriere. E ha dato le disposizioni necessarie a farla fallire, anche a costo di far eleggere per il Pd tre e non quattro dei sette consiglieri d’amministrazione dell’ente radiotelevisivo, come sarebbe stato possibile con una condotta unitaria dei parlamentari del Pd presenti nella Commissione bicamerale di “vigilanza” sulla Rai.
Il temperamento, cioè il risentimento, è prevalso sul buon senso, e persino sulla furbizia. Che avrebbe dovuto suggerire al presidente del Consiglio di fare buon viso a cattivo gioco. Tanto, de Bortoli non era stato candidato alla presidenza della Rai. E avrebbe assai probabilmente rinunciato anche al posto di semplice consigliere, visto che la minoranza del Pd aveva chiaramente e maldestramente cercato di usarlo per un altro capitolo dell’interminabile guerriglia interna di partito, cui l’ex direttore del Corriere si sente giustamente estraneo.
Ma Renzi e la minoranza del suo partito non sono stati i soli a mancare di buon senso nella partita, chiamiamola così, di de Bortoli. Stupisce che abbia dato il suo contributo anche Berlusconi, pure lui prigioniero evidentemente dei ricordi, cioè dei contrasti avuti con de Bortoli durante la sua prima esperienza di direttore del Corriere, e lo stesso Berlusconi era a Palazzo Chigi.
Neppure il leader di Forza Italia avrebbe perso la faccia se avesse autorizzato i suoi parlamentari a far passare la candidatura di de Bortoli, anche a costo, magari, di sacrificare uno dei due consiglieri proposti dal proprio partito. Ma l’obbiettivo era evidentemente un altro, dichiarato con la solita e disarmante franchezza dal capogruppo forzista della Camera. “Noi – ha spiegato Renato Brunetta a Mario Sechi, per Il Foglio – abbiamo preso più consiglieri dei nostri voti e loro meno consiglieri dei loro voti. Il centrodestra ha vinto e loro hanno perso”, intendendosi naturalmente per “loro” i dirigenti e parlamentari del Pd.
Rispetto a Berlusconi, tuttavia, Renzi ha compiuto anche l’errore di contraddirsi rispetto alla condotta liberale rivendicata in occasione della nomina di Tito Boeri alla presidenza dell’Inps, non più tardi dello scorso mese di febbraio. Egli si era allora vantato di avere voluto al vertice del maggiore istituto previdenziale italiano un economista che lo aveva più volte criticato, e di cui – almeno a parole e sino a questo momento – non condivide la insistente proposta di ricalcolare, naturalmente al ribasso, tutte le pensioni liquidate con il vecchio sistema retributivo. Una proposta che, per i devastanti effetti derivanti a milioni di pensionati, un esponente della stessa maggioranza di governo, il deputato alfaniano Sergio Pizzolante, ha definito “terrorismo sociale”.
Boeri sì al vertice dell’Inps e de Bortoli, con il suo indiscusso e alto profilo professionale, no fra i sette consiglieri d’amministrazione della Rai, peraltro in una paradossale e forse inconsapevole riedizione di quello che fu il tanto bistrattato “Patto del Nazareno” fra Renzi e Berlusconi.