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Perché sono pretestuose le polemiche sugli stranieri ai vertici dei musei italiani. Parla De Bellis

Meno burocrazia, più spazio ai privati, premiare la competenza e aprirsi a un panorama internazionale professionalizzato. Sono alcuni dei nodi toccati da Vincenzo De Bellis, direttore artistico della Fiera internazionale di arte moderna e contemporanea di Milano (MiArt). De Bellis, 37 anni, commenta senza acrimonia, anzi, le venti nomine fatte dal ministero dei Beni Culturali per i vertici dei musei italiani.

Direttore artistico del MiArt, fiera internazionale di arte moderna e contemporanea di Milano, Vincenzo de Bellis non ci sta a alimentare le polemiche sulle nomine agli stranieri che si sono sollevate dopo la pubblicazione dei 20 nomi scelti dal ministero di Dario Franceschini, 7 dei quali stranieri. “Sono polemiche pretestuose – dice De Bellis a Formiche.net – non vedo come ci si possa stupire, nel 2015, della nomina di personalità internazionali per musei importanti come i venti in questione. L’importante – continua – è che siano all’altezza del proprio ruolo, il resto non conta”.

De Bellis è alla direzione artistica del MiArt dal 2013. In precedenza aveva avviato il centro di arte contemporanea Peep-Hole, ed è poi stato scelto per guidare la fiera milanese di arte moderna e contemporanea per il triennio 2013-2015 e poi riconfermato per l’edizione 2016. Ma la sua formazione non parla solo italiano. “Dopo qualche anno di lavoro in Italia – racconta De Bellis – sono partito per gli Stati Uniti. Ho ripreso a studiare, frequentando il Master biennale del Center for Curatorial Studies del Bard College di New York, e ho potuto confrontarmi con le maggiori personalità del panorama curatoriale internazionale. Questo mi ha permesso di mettere in discussione le mie convinzioni precedenti e “cambiare” il mio punto di vista sulla mia professionalità, su quale voglio che sia il mio ruolo nel mondo curatoriale”.

Sono tanti i “grandi” italiani alla guida di grandi musei internazionali e de Bellis passa in rassegna qualche nome: “Francesco Manacorda dirige la Tate Liverpool, ormai da 3 anni, Massimiliano Gioni, prima direttore associato e ora al New Museum di New York, Andrea Bellini, direttore del centro di arte contemporanea di Ginevra, ma nel passato ce ne sono stati anche altri altri. Io penso – continua De Bellis – che da qualsiasi nazione uno provenga, se ha le carte in regola per dirigere un qualsiasi museo al mondo, allora è giusto che lo faccia”.

Comunque, tiene a precisare, “non è detto che chiunque faccia un’esperienza all’estero sia migliore di chi ha lavorato sempre nel proprio paese”. Ed è forse più buon senso che esterofilia a far credere al curatore del MiArt che la competenza non abbia niente a che vedere con la nazionalità. Anzi, aggiunge che bisognerebbe essere stupiti positivamente dall’alto numero di personalità internazionali che hanno partecipato alla selezione del ministero, perché “è testimonianza del valore che il nostro patrimonio museale ancora riveste. E se i nuovi direttori, stranieri e italiani, riusciranno a migliorare la situazione, faranno il nostro bene per primi e quello di chiunque paghi il biglietto per vedere le mostre”.

Ma è sufficiente la nomina di venti nuovi direttori per cambiare la situazione museale italiana? Per De Bellis può essere un buon punto di partenza, accompagnato da altri cambiamenti che dovrebbero modernizzare un sistema con “un grado di burocrazia elevatissimo” a cui si potrebbe mettere argine sia dall’interno – ecco la ragione delle nuove nomine -, sia avviando un processo di sostegno privato ai musei “per liberarli da una serie di vincoli dati dalla pubblica amministrazione, come concorsi, o l’assunzione obbligatoria di un certo numero e un certo tipo di persone”.

“A seconda di com’è fatto il sistema museale di un paese – spiega – non sempre bisogna passare attraverso concorsi pubblici (anche se nel nostro sistema è ancora così e per come è strutturato è giusto che sia così). In molti casi, le nomine vengono fatte direttamente dai cosiddetti consigli di amministrazione-board dei musei, che scelgono la persona in base ad una nomina diretta legata alle esigenze specifiche dell’istituzione e per motivi di chiaro valore: Massimiliano Gioni, per fare un esempio, una personalità di grandissimo rilievo, è diventato direttore artistico per le sue capacità e senza un concorso. Detto questo non si può fare un paragone tra i diversi sistemi – conclude De Bellis -, perché il sistema museale è profondamente diverso, però è possibile che le cose cambino. Lo dico per il bene dei musei, e non mi riferisco necessariamente a quelli oggetto delle nuove nomine. Faccio un discorso più allargato, perché altrimenti saranno sempre vincolati alle dinamiche politiche e pagarne le spese saranno tutti coloro che li visitano”.

Foto di Marco De Scalzi

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