In questi giorni difficili e gravi per la tenuta dell’Unione europea (Ue), la fiducia tra i Paesi membri è cruciale per rimarginare le ferite, ricostruire un sentiero di coesione e avviare nuove tappe politiche nella crescita dell’Unione, senza le quali il progetto europeo rischia di implodere sotto la spinta di una frammentazione corrosiva.
La responsabilità maggiore cade sui governanti dei Paesi più forti, ai quali la storia chiederebbe oggi visione di lungo periodo e capacità di leadership.
Stride dunque particolarmente, insieme alle tragiche vicende greche, l’accordo bilaterale tra Germania e Russia, siglato giorni fa per la costruzione di un gasdotto che porti il gas russo direttamente in Germania, nonostante la rigida posizione tedesca sulle sanzioni nei confronti della Russia.
Raddoppierà la capacità di trasporto di Nord Stream a 110 bm3, a fronte del totale di esportazioni di gas russo in Europa di circa 150 bm3.
L’accordo elude le regole europee del Terzo Pacchetto Energia che avevano fatto cadere South Stream a inizio 2015. Allora aveva vinto il principio che in Europa il “divide et impera” non passa e South Stream era stato bloccato, secondo molti a detrimento economico di entrambe le parti, dopo i tentativi di Putin di negoziare bilateralmente con Bulgaria, Romania, Slovacchia, Ungheria per saltare l’Ucraina, indebolendo la Commissione e il Regolatore europeo.
È proprio questo il problema che l’accordo russo-tedesco elude oggi, con una furbizia politica da free rider, poiché prevede il collegamento diretto tra un Paese produttore esterno e un consumatore europeo, senza transiti.
Conseguenze negative
Di esso si percepiscono subito almeno tre conseguenze negative per l’Unione.
1) A pochi giorni dall’incontro trilaterale con Russia e Ucraina per mediare sulla vicenda energetica, l’accordo ha svuotato di contenuto negoziale la posizione della Commissione. In questa tela di Penelope della costruzione politica europea non sorprende, dunque, che l’incontro sia fallito al suo esordio.
2) L’accordo russo-tedesco mostra appieno che a fronte dell’armonizzazione delle regole, quasi completata, si pone una drammatica criticità: è difficile dare credito al decollo politico dell’Unione dell’Energia (Energy Union) se i capi di governo non si impegneranno sul tema, lasciando prevalere gli interessi nazionali del Paese più forte.
3) Infine una conseguenza politica ed economica seria per il lungo periodo, gravemente divisiva per le relazioni tra Paesi membri: torna al Nord, intorno al rapporto diretto tra Germania e Russia, il fulcro dell’approvvigionamento energetico dell’Unione, dopo che per mesi Commissione e Consiglio hanno propagandato un impegno convinto nei confronti del Mediterraneo e della diversificazione delle fonti, anche con gli alleati americani.
In un’ottica micro-economica si noti poi in un inciso che le imprese tedesche con le alleate nordiche sostituiranno l’assetto composito degli azionisti di South Stream e le imprese di costruzione del gasdotto.
Le imprese italiane ne soffrono, come altre, estromesse dal fronte coordinato dal governo tedesco con quello russo. I gasdotti meridionali, tra i quali l’allargamento di Tap e Tanap dall’Asia centrale, Itgi e altri progetti del Mediterraneo rischiano di diventare esuberanti.
Il senso dell’Unione dell’Energia
L’energia, come la finanza, è un settore chiave in Europa: può contribuire a invertire il ciclo economico e promuovere strategie politiche comuni.
Le Istituzioni europee si stanno faticosamente muovendo in questa direzione. Dopo l’Unione bancaria, l’Unione dell’Energia è stata lanciata dalla Commissione Juncker a inizio anno, come “una svolta nelle strategie di lungo periodo dell’Ue”.
Anche le condizioni esterne sono favorevoli a una politica comune che rafforzi i primi barlumi di crescita – il crollo del prezzo del petrolio, i risultati delle politiche per la decarbonizzazione, ma soprattutto la rivoluzione tecnologica in corso con le nuove fonti rinnovabili e l’integrazione dell’Ict nella costruzione di reti e consumi elettrici “intelligenti” – concorrono a una svolta del settore che si può ben definire epocale, nella quale l’Europa primeggia, per innovazione, tra le regioni del globo.
Il momento giusto per negoziare con la Russia
Da ultimo, si noti, sarebbe il momento ideale per negoziare in modo coeso con la Russia, primo fornitore dalla quale l’Ue dipende per il 30% delle importazioni di gas e per il 35% di quelle di petrolio, poiché il crollo del prezzo del petrolio da 110$ a 59$ il barile insieme alle sanzioni nel settore finanziario ed energetico pesano; per di più la Russia stenta a trovare altri mercati di sbocco, dopo i tentativi avviati con la Cina per un orizzonte lontano.
Ma soprattutto nuove strade per l’offerta di gas all’Europa si stanno aprendo nei sommovimenti geopolitici in corso. Dal Mediterraneo in primis: l’Algeria ha ripreso a produrre, l’Egitto ha siglato i primi accordi con Israele e Giordania per il gas del Mediterraneo orientale, dove nuove enormi riserve sono disponibili intorno al Leviatano per una graduale esportazione attraverso Grecia, Italia e Spagna.
Dall’Asia centrale, Iraq e Iran, a fine embargo, hanno forniture che si aggiungeranno al gas azero già programmato per affluire al Tap, recentemente approvato, attraverso Albania, Grecia e Italia, mentre la Turchia si candida come paese di transito e di consumo e i Balcani sono coinvolti in progetti che gli Stati Uniti sostengono da anni per rafforzare l’autonomia energetica della regione.
Infine, l’America. Contro le aspettative dei più, le prime forniture di gas liquefatto arriveranno a breve con contratti di lungo periodo dopo la semi-indipendenza raggiunta dagli Usa con il gas di scisto e il livellamento dei prezzi relativi globali, che rende l’Europa un mercato competitivo con l’Asia Orientale.
Strategia politica comune
Come non trarne vantaggio con una strategia politica comune?
Al riguardo si nota tuttavia che i progetti menzionati implicano investimenti e infrastrutture nei Paesi meridionali dell’Unione. Richiedono sforzi condivisi dei Paesi membri, coordinati dalla Commissione nei Projects of Common Interest (Pci), a beneficio economico di tutti i Paesi membri e a sostegno del ruolo politico che l’Unione europea può e deve svolgere per raggiungere nuovi equilibri multipolari nel Mediterraneo.
Ed è proprio questa visione europea che l’accordo russo tedesco mina gravemente, contrapponendo la resistenza della via del nord e dando prova di una furbizia politica di cortissimo respiro. L’Unione dell’Energia diventa così un progetto importante, ma solo sulla carta. E l’Ue rischia di perdere un’occasione irripetibile.
Valeria Termini è Commissario dell’Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il Sistema Idrico AEEGSI); VicePresidente del Council of European Energy Regulators (CEER).
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