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Immigrazione, che combina l’Inghilterra?

Abituati a prendercela, a torto o a ragione, con la cancelliera tedesca Angela Merkel per il taglio finanziariamente troppo rigoroso imposto all’Unione Europea, come se tutti dovessero tornare a marciare col passo dell’oca, pur senza armi addosso, ogni tanto dobbiamo scoprire che può esserci di peggio.

Può tornare a calare sulla Manica, per esempio, quel tipo di nebbia con cui gli inglesi ritengono isolata non la loro terra ma il continente, cioè l’Europa. Da dove il ministro dell’Interno di Sua Maestà la Regina Elisabetta, prossima peraltro a battere il primato di longevità della corona tenuta dalla mitica Regina Vittoria, non vuole che vengano ammessi migranti senza lavoro, neppure cittadini di altri Paesi europei.

Cioè, a Londra non vogliono tra i piedi migranti di nessun tipo, e non solo quelli sbarcati in Europa, prevalentemente sulle coste greche e italiane, ma trasportati anche via terra in condizioni non dissimili dalle barche e dai gommoni degli scafisti. Migranti che se avessero un lavoro già assicurato, in Gran Bretagna o altrove, non avrebbero certamente bisogno di viaggiare come viaggiano.

Un’Europa di taglio britannico, con la nebbia sparsa sulla Manica, e magari sul Mediterraneo in dimensioni adeguate agli interessi britannici, dovrebbe farci più paura di un’Europa tedesca. Anche perché la Merkel sul tema della immigrazione – o migrazione, come preferiscono dire Papa Francesco e papa Scalfari – sta mostrando una sensibilità e una decisione contrarie a quelle che le attribuiscono i detrattori di casa, come si è visto nei giorni scorsi, mettendo una n alla fine del nome e trasformandola nel verbo della indecisione e del rinvio.

D’altronde, quello dei migranti è un problema europeo ormai più insidioso ed esplosivo dei bilanci, dei disavanzi, dei debiti e via contabilizzando.

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Giannelli, come al solito, ha saputo tradurre meglio di un editoriale o di una nota politica, o di un retroscena, la svolta renziana del Corriere della Sera diretto non più da Ferruccio de Bortoli ma da Luciano Fontana.

Massimo D’Alema, reduce dall’ultimo scontro avuto, sia pure a distanza, con il segretario del suo partito e presidente del Consiglio, è stato rappresentato nella vignetta di prima pagina come “l’ultimo giapponese”, ancora in armi nella foresta dopo la fine della seconda guerra mondiale, con il nome debitamente storpiato in versione nipponica.

D’Alema, obiettivamente, non ha mai fatto molto, né con i colleghi di partito, né con gli avversari, né con i giornalisti, per riuscire simpatico. Ma qualche parola in sua difesa si può pure spendere, visto che l’ha fatto in questi giorni anche il suo antagonista storico, nelle varie edizioni di quello che fu il Pci: Walter Veltroni. Che dalle colonne domenicali dell’Unità, pur continuando curiosamente a rifiutare l’idea di un “partito liquido”, preferendone uno solido, ha paragonato il Pd da lui sognato nella fondazione e nella prima guida da segretario a un “fiume”, dove “le acque che scorrono sono sempre nuove” e finiscono anche per “cambiare il mare dove confluiscono”. A fare scorrere le acque, evitando che il fiume diventi “uno stagno”, deve essere “il gusto per le opinioni diverse”, cioè il dibattito senza acrimonia, senza chiusure pregiudiziali.

Il dibattito di tipo veltroniano, al quale gli amici di Renzi certamente non indulgono quando sfidano sarcasticamente, con i tempi che corrono, il rottamato D’Alema a candidarsi a segretario al prossimo congresso del partito, fra due anni, è stato tradotto dalla ciliegia del Foglio in questa formula goliardica: “Sei uno stronzo ma ti voglio bene”. Una formula poco adatta, in verità, sia a D’Alema sia a Renzi.

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Da Ignazio Marino, forse alle prese ormai con i bagagli, visto che le vacanze sono destinate a finire anche per lui, continuano ad arrivare a Roma messaggi telefonici di resistenza alla realtà emersa dalla decisione del governo di affiancargli per tutela il prefetto Franco Gabrielli. Che sorvegliando il sindaco potrebbe anche farsi le ossa come candidato alla sua successione, quando si andrà alle urne. Candidato naturalmente del Pd, a dispetto del doppio mandato, nel senso di una conferma elettorale, sognato e imprudentemente annunciato da Marino sino a qualche mese fa, anche dopo lo scoppio del bubbone giudiziario di “Mafia Capitale”.


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