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Immigrazione, chi (e come) vuole cambiare il trattato di Dublino

340mila ingressi irregolari nell’Unione Europea dall’inizio dell’anno, un aumento del 175% a cui né l’Ue né i singoli paesi sono in grado, al momento, di dare una risposta efficace. E se da una parte si conta chi è riuscito ad entrare in Europa, dall’altra le vittime dei viaggi interminabili in mano a trafficanti di esseri umani si fanno sempre più numerose: si muore, soffocati dentro un tir o nella stiva di una nave, per cercare di raggiungere un futuro migliore.

CHE COSA PREVEDE LA CONVENZIONE

Secondo il trattato di Dublino si può presentare domanda di asilo in un solo Stato membro dell’Ue. LA richiesta deve essere esaminata dallo Stato in cui il richiedente è entrato nell’Unione, nel quale ha diritto di rimanere anche senza documenti. Lo status di rifugiato viene riconosciuto se si dimostra alle autorità europee di non poter tornare nel proprio Paese d’origine, a causa di guerre, persecuzioni razziali, religiose, politiche.

GLI ULTIMI AVVENIMENTI

La Germania ha aperto le sue porte ai profughi siriani il 25 agosto, proponendo di fatto una revisione del trattato di Dublino, ma l’Ungheria, muovendosi in direzione opposta, costruisce muri di filo spinato al confine con la Serbia e chiede di poter usare l’esercito per pattugliarne il perimetro. Il ministro Paolo Gentiloni, invece, aveva suggerito una riforma dei trattati sull’immigrazione, affiancandosi al pensiero della Germania. Ecco chi – e come – vuole cambiare Dublino.

L’ABBRIVIO DELLA GERMANIA E I 10 PUNTI

I rifugiati siriani saranno liberi di entrare in Germania e di richiedere asilo senza preoccuparsi della provenienza. Un gesto, quello della Cancelliera Angela Merkel, che ha dato la misura di quanto l’ingresso di nuovi immigrati abbia bisogno di risposte forti, da tutta Europa.

È necessario riformare le politiche europee sulle richieste di asilo in modo unitario, secondo “principi di solidarietà” e mettendo al centro il “valore dell’umanità”. La proposta tedesca, firmata dal vice-cancelliere Sigmar Gabriel e dal ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier, è divisa in 10 punti (qui i dettagli), in cui si propongono politiche comuni per la gestione degli immigrati, dalla loro accoglienza (e registrazione) – che deve essere efficiente e immediata – alla creazione di visti di asilo europeo e non nazionale (diversamente da quanto prevede ora Dublino). Solidarietà tra i paesi in maggiore difficoltà – come Grecia e Italia, principali luoghi di sbarco dei migranti – ma anche ridistribuzione dei rifugiati in modo proporzionale nei vari Paesi, rispetto alla popolazione.

Agire nel territorio europeo, dunque, ma anche dall’altra parte del mare: stabilire maggiori contatti gli Stati di provenienza di quei migranti che non avrebbero diritto d’asilo (si spostano dunque per ragioni economiche), rendendo agevoli i rimpatri da una parte e dando sostegno tecnico ed economico per appianare le ragioni delle migrazioni dall’altra. Allo stesso modo, la Germania propone di rafforzare i programmi di messa in sicurezza del Mediterraneo, per non “limitarci ad assistere da spettatori al rischio che corrono le persone che tentano di venire da noi” e di aprire alla possibilità per i paesi balcanici di entrare nell’Ue.

I TRE PUNTI DI GENTILONI

Ed era stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a proporre, il 26 agosto dalle pagine del Corriere della Sera, tre linee guida da cui partire per mettere in atto politiche unitarie sui migranti: asilo europeo, regole sui flussi e sui rimpatri. Bisogna andare oltre Dublino, ha sottolineato più volte Gentiloni, mentre il Viminale attende le decisioni che verranno prese la prossima settimana a Bruxelles per capire agire di fronte al flusso inarrestabile di arrivi.

GRECIA E ITALIA, LE PORTE DELL’EUROPA

Ancora una volta è stata Angela Merkel a chiarire che senza responsabilizzazione comune non si può far fronte all’emergenza. Così dal vertice sui Balcani che si è tenuto a Vienna nella giornata di ieri (27 agosto) la cancelliera ha fatto sapere che “Abbiamo raggiunto con Italia e Grecia l’accordo sul fatto che i cosiddetti centri di registrazione o Hot Spots debbano essere allestiti entro la fine dell’anno”, ma ha aggiunto che i due paesi “potranno accettare centri del genere, soltanto se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti”.

LE BARRIERE UNGHERESI

Mentre da Germania, Francia, Italia e Grecia arrivano cenni di collaborazione, o almeno dei tentativi, la politica ungherese resta quella militarizzante: 2100 poliziotti pattuglieranno i confini con la Serbia a partire dal 5 settembre, e prosegue la costruzione di una barriera lunga 175 km sempre al confine con la Serbia.

I PROSSIMI PASSI DELLE ISTITUZIONI UE

Il direttore di Frontex (l’agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere), Fabrice Leggeri, ha spiegato dalle pagine di Repubblica che da una parte bisogna agire nell’immediato creando “centri di registrazione (hot spots), come a Catania e fra poco al Pireo, in Grecia. In questi centri lo Stato membro riceve l’aiuto operativo congiunto di Frontex e di altre agenzie per l’esame, la raccolta delle impronte digitali, l’identificazione dei nuovi arrivati, e anche per il contrasto alla criminalità organizzata e alle reti di trafficanti”, dall’altra sottolinea la necessità di “una maggiore collaborazione all’interno dell’Unione per aiutare sul campo gli Stati membri in difficoltà”.

Il commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos e il primo vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, si recheranno, a partire da lunedì, nei paesi più colpiti, per valutare quali misure adottare.

E se la linea europea si delinea nella direzione di un superamento della convenzione di Dublino, si attende il discorso sullo Stato dell’Unione che Jean-Claude Juncker pronuncerà il 9 settembre al Parlamento europeo, in cui è possibile che si sottolinei una volta di più la necessità di una politica comune dell’immigrazione.

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